Il conflitto narrativo è ciò che muove non solo un romanzo, ma in generale ogni storia. Da sempre, lo scontro tra due elementi o forze genera un’energia particolare, ha vari scopi, i principali sono:
- Crea tensione, poiché i lettori sono incuriositi da come il conflitto sarà risolto.
- Riflette la vita reale, ci capita sempre, anche se non ce ne rendiamo conto, di avere dei conflitti irrisolti.
- Suscita emozioni facendoci immedesimare nei personaggi. In più, quando ci si arrabbia e si “esplode” ciò che proviamo è più potente.
- Genera suspense. Come verrà risolto il conflitto?
- Aggiunge profondità alla narrazione obbligando l’autore stesso a porsi delle domande.
- Sviluppa la trama e a fornisce dimensioni più profonde ai personaggi.
- Fa nascere dilemmi morali e personali.
- Aiuta nella costruzione dei personaggi, poiché si cresce sbagliando e proprio attraverso il conflitto (es. conflitto generazionale).
- Spinge a esplorare temi più ampi e profondi.
- Obbliga il lettore a pensare e quindi ad andare avanti nella lettura.
Non significa che in ogni scena di un romanzo ci debba essere uno scontro fisico o una litigata furibonda, il conflitto è la spinta che genera il movimento e sta all’autore capire quando questo debba “detonare”.
Nei romanzi che ci arrivano in lettura (inviateci le prime 20 pagine + sinossi, tutto in word.), o si ha un’assenza o un eccesso di “conflitto”, anche se nella maggior parte dei casi il vero problema (oltre alla mancanza dello show don’t tell), ne è l’assenza.
Sembra di leggere scene idilliache e abbastanza piatte che neanche ne “La casa nella prateria” quando tutti ridevano e correvano nei prati come automi deficienti.
Il conflitto narrativo e il non detto
In questo caso siamo di fronte al conflitto più difficile in assoluto da mettere in campo. A parole due persone possono litigare dando vita a un dialogo diretto in cui, il motivo del contendere, è palese per chiunque.
Una professoressa che sgrida l’alunno, un maestro che insegna all’allievo, un allenatore che si arrabbia con il suo atleta, sono conflitti facili e palesi. In questo casi c’è sempre una figura di riferimento (es. maestro) che sgrida il suo allievo (padawan) mettendo in scena un confronto il più delle volte “tecnico”.
Si intende quindi un dialogo su una cosa da imparare, un concetto da fare proprio, dove uno ha consapevolezza e conoscenze tali da insegnare all’altro, di solito giovane e poco incline a seguire il formalismo o le regole.
Poi c’è il non-detto che è il tipo di dialogo/conflitto dove le doti di un vero scrittore emergono e mostrano non solo quanto è scritto in modo palese, ma una serie di messaggi subliminali o indiretti che arrivano al lettore e gli stimolano alcune idee o impressioni.
Il non-detto è lo strumento più potente, ma anche più difficile da usare, a disposizione dell’autore per comunicare al lettore determinate informazioni. Possiamo definirlo come l’opposto di uno dei peggiori errori che si possano commettere: l’infodump.
Come imparare a usare il non-detto
Siamo di fronte, come indicato, a una delle tecniche più difficile in assoluto quando si scrive un testo. Prima di tutto si devono conoscere bene i personaggi:
- il loro passato,
- cosa amano/odiano,
- come parlano e perché lo fanno in un determinato modo,
- presente e le aspettative future,
- …
A quel punto, il personaggio, dovrebbe avere una sua voce precisa. Poi va fatta la stessa cosa con il suo “avversario” e le loro interazioni.
Cosa non fare
Leggere in un romanzo un dialogo in cui si apostrofano con frasi da soap di serie C anni ’70 è il male della letteratura (forse peggio delle agenzie letterarie):
- Ehi, fratellone/fratellino/sorellona/ina e tutti ‘sti vezzeggiativi da vomito?
- Ciao, amico mio (et similia),
- Siamo venuti in questo lago (posto qualunque) perché lo avevamo deciso tempo addietro e abbiamo bisogno di una pausa poiché tu (o io) non ci prendiamo una vacanza dal lavoro (specificare quale).
Sono uno peggio dell’altro, l’ultimo è errato perché due persone non si parlano in questo modo specificandosi a vicenda le motivazioni che invece fanno parte del non-detto (o del passato).
Siamo di fronte a informazioni buttate lì a casaccio a uso del lettore senza però sforzarsi di introdurle con cura e nel momento giusto.
Cosa fare?
Ogni cosa che suona stonata, ovvia e poco credibile deve essere eliminata all’istante! Poi si deve spegnere il pc e relazionarsi con le persone facendo attenzione ai non detti che usiamo di continuo, si parla di un argomento per comunicare, invece altro.
Banalmente due amiche che hanno litigato non affrontano il motivo della discussione, ma si parlano per “stratagemmi”, magari discutono dei problemi che hanno a casa e sottintendono che erano stressate o nervose.
Di rado le persone sono dirette. Il più delle volte si prendono qualche “battuta” per mettersi a proprio agio, come ad esempio le banalità sul clima (da evitare in un romanzo). Potrebbero invece parlare della mobilia della casa, del nuovo taglio di capelli…
A nostro avviso non impari la tecnica del non-detto (essenziale nel conflitto narrativo), facendo corsi di scrittura o seguendo webinar e leggendo testi di scrittura creativa.
Servono:
- capacità di ascolto,
- curiosità e sincerità,
- leggere (tanto e generi differenti),
- l’editing del romanzo.
Senza lo scontro non c’è la crescita
Senza conflitto narrativo non ci sarebbero i romanzi. Sembra un concetto un po’ estremo ma, se ci pensiamo bene, tutto ruota da sempre – specialmente nella nostra società – nello scontro con gli altri.
A scuola sfidiamo i nostri compagni, i professori e noi stessi. Il conflitto adolescenziale tra figli e genitori è una parte essenziale della vita di ognuno che permette di trovare (di solito), la propria natura. Solo nello scontro e nel dubbio impariamo a farci le giuste domande, per poi trovarne le risposte.
Ciò che ci fa provare empatia verso un personaggio di un romanzo non sono i suoi pregi, ma sono i difetti e soprattutto i conflitti che affronta, le difficoltà che a volte supera e altre volte no. Un protagonista perfettino, che dice e fa sempre la cosa giusta, a chi piacerebbe?
Questo ci fa comprendere anche perché, spesso, l’antagonista ci suscita emozioni più profonde rispetto ad altri personaggi che dovrebbero essere positivi. I cattivi, chiamiamoli così, sono sempre in conflitto con il mondo e questo li rende più profondi, reali e stimolanti.
Cos’è il conflitto narrativo
È una situazione, questione o problematica che, in un determinato momento della narrazione, colpisce il personaggio e ne sconvolge l’esistenza. Senza i conflitti le storie si arenerebbero subito, risultando solo una massa informe di infodump, pensieri sparsi e ovvietà.
Il conflitto narrativo è l’innesco della bomba che – in teoria – dovrebbe essere la tua storia. L’esplosione porta da una situazione di equilibrio (un po’ noioso) a un violento disequilibrio (più stimolante).
La storia è tutto ciò che sta in mezzo tra equilibrio iniziale ed equilibrio finale. Il protagonista si troverà quindi ad affrontare una serie di vicissitudini per provare a ritornare proprio da dove è partito, rendendosi conto però che non sarà più possibile.
Ecco che ci sarà un cambiamento nel suo modo di pensare, agire e sentire. Un cambio di prospettiva di solito più consapevole e maturo che dovrà essere mostrato (show dont’t tell) e non raccontato. Significa che questo cambiamento, scatenato dal conflitto narrativo), lo porterà ad agire e parlare in modo differente.
Esempio di conflitto narrativo
Il protagonista è un americano bianco che “crede” di non essere razzista, ma in fondo ha atteggiamenti e comportamenti tipici di chi lo è. Il conflitto narrativo esplode quando conosce una ragazza di colore.
Prima la tratta con sufficienza, poi inizia a conoscerla fino a innamorarsi. A questo punto le sue “vecchie ideologie” si scontrano con i sentimenti e la “nuova visione” che lei ha portato nella sua vita: ecco il conflitto narrativo.
Dove lo porterà tutto questo? Così si sviluppa la trama, esplode nel vero senso della parola permettendo allo scrittore di affrontare tutti i temi inerenti il razzismo che vuole affrontare. Un bravo autore, però, elimina il giudizio e affronta tali elementi con azioni e dialoghi, evitando banali infodump o pistolotti moralizzanti posticci.
L’errore più grande
È spiegare. Il conflitto dovrebbe portare a degli accadimenti, delle azioni o a dialoghi. Molti autori alle prime armi, una volta inserito il conflitto, lo affrontano in modo didascalico e semplicistico.
Trasformano una storia in una sorta di opera moralizzante che annoia da morire il lettore a cui, mi spiace dirlo, non importa nulla.
Chi legge vuole immergersi in una storia, mettersi nei panni dei personaggi e vivere quel patto narrativo di cui tanto si parla ma che pochi accettano. Se invece parte la voce fuori campo – o il pensiero infinito e moralizzante di un personaggio – solo per esprimere un concetto che l’autore ritiene essenziale e illuminante, si rompe la magia e si diventa banali venditori da fiera.
Uno scrittore – uno vero – affronta il conflitto narrativo quasi fosse lui stesso i suoi personaggi. Non giudica, non dà valutazioni ma mostra l’evolversi dei protagonisti attraverso azioni concrete.
Questo non significa che non possa esserci il momento di riflessione in cui il protagonista si ferma, valuta e trae delle conclusioni su vari accadimenti. Solo che dovrebbe essere inserito senza il fine di spiegare, ma di mostrarne l’evoluzione.
Qual è il meccanismo insito nel conflitto?
Buttare nel testo alcuni conflitti, tanto per farlo, non porterà a nulla se non tanta confusione. Quando decidi di scrivere un romanzo (o anche un racconto), è essenziale che il conflitto sia chiaro quanto la trama e i personaggi.
Lo scontro, la sfida, devono spingere il personaggio a un cambiamento necessario per fronteggiare la nuova situazione che ha sconvolto la sua esistenza.
Azione e mutamento sono i mezzi per riuscirci. Ogni scena o dialogo, in linea di massima, dovrebbe avere un conflitto. Non stiamo parlando di litigi o risse, ma di una atteggiamento conflittuale o propositivo che spinga il personaggio (e quindi il lettore) a un cambiamento.
Di solito il protagonista, di fronte alle prime sfide, soccombe. Questo perché si vuole mostrare quanto siano radicati in lui certi pensieri o comportamenti. Come il razzismo latente visto nell’esempio precedente. Non può bastare una chiacchierata con la ragazza di colore per ravvedersi, serve molto di più.
Per esempio potrebbe trovarsi a lavorare con lei e comportarsi con la tipica superiorità che paleserebbe ogni razzista, anche un certo fastidio o disagio nel solo stare nella stessa stanza. Il conflitto narrativo è chiaro.
A questo punto potrebbe esserci un dialogo tra loro due in cui lei ha la meglio, oppure, di fronte a un problema, lui sarà così convinto di avere ragione quando invece commetterà un gravissimo errore. Le possibilità sono infinite, tutte dovrebbero andare verso un primo fallimento.
La crescita del protagonista non può essere troppo rapida e neanche lineare, ma variare in base all’intensità delle sfide che affronterà e in base anche al suo carattere.
E l’antagonista?
L’antagonista è un personaggio chiave in ogni romanzo che si rispetti. Non è per forza il nemico giurato che tenta di uccidere il protagonista, quando una sorta di maschera che è – dal punto di vista psicologico – uno specchio che mostra il lato oscuro del protagonista.
L’antagonista è l’avversario contro cui il protagonista si scontra, ma non è detto che debba essere per forza un’altra persona.
Nell’esempio precedente ci potrebbe essere un ragazzo profondamente razzista, amico del protagonista, che fa di tutto perché la sua “storia” con la ragazza di colore non inizi neanche. Se prima erano amici, con il tempo e grazie proprio al conflitto narrativo, i due si allontanano fino a uno scontro finale (che potrebbe essere una lotta o altro), che porta a una risoluzione.
I 3 tipi di conflitto narrativo
In generale si tende a individuare 3 tipi di conflitto, declinabili in vari modi:
- interno o personale,
- esterno contro altri,
- esterno contro la società.
Non è una lista immutabile né tantomeno unica, solo un modo per indicarne le tipologie più generiche e inserirli all’interno di una storia.
1. Conflitto interno
Si tratta di un conflitto che ha come confine il proprio circolo sociale o famigliare. Può essere prettamente personale, quindi un dubbio, un rimorso o un senso di colpa.
Nell’esempio precedente è chiaro che il protagonista stia vivendo un conflitto personale in primis. Egli sta mettendo in dubbio i suoi valori più personali e profondi andandosi poi a scontrare con la sua cerchia sociale.
In questo ambito rientrano i conflitti con:
- professori,
- amanti,
- amici,
- genitori,
- colleghi di lavoro.
2. Conflitto esterno contro altri
In questo caso capita che lo scontro si estenda oltre la propria intimità e si riversi in ambiti sociali più ampi rispetto a quelli visti in precedenza.
Nell’esempio il conflitto verso altri potrebbe esplicitarsi nel confronto con la cittadina del sud degli Stati Uniti dove regna ancora una forma di razzismo serpeggiante, che inquina menti e cuori degli abitanti.
Nel film Footloose, il protagonista (interpretato da Kevin Bacon), combatte contro la cultura retrograda di una cittadina ancora ferita da un grave lutto
3. Conflitto esterno contro la società
In questo caso siamo di fronte a qualcosa di “scala” maggiore. Potrebbe essere un conflitto contro lo Stato o la Mafia oppure contro una grossa corporazione.
Ci rientrano i conflitti sociali, come la lotta di Robin Hood contro un sistema opprimente nei confronti della plebe. O se parliamo di un distopico y/a la lotta di Katniss (Hunger Games) per modificare lo status quo di Panem.
Esempi di conflitto narrativo
Ci sono tanti modi per indicare le tipologie di conflitto, di seguito alcuni esempi in cui viene indicato – in linea di massima – il tipo di conflitto che muove la narrazione, il protagonista contro:
- L’Antagonista: ha luogo quando l’antagonista si oppone al protagonista in modo che l’obiettivo del protagonista diventi più difficile da raggiungere. Ne “Il Signore degli Anelli” di J.R.R. Tolkien, Sauron si oppone a Frodo Baggins nella sua missione di distruggere l’Unico Anello.
- L’Ambiente: un conflitto narrativo in cui il protagonista deve lottare contro l’ambiente che lo circonda. In Moby Dick di Herman Melville, il capitano Ahab deve vincere la sua lotta contro la natura mentre cerca di catturare la balena bianca Moby Dick.
- Sé stesso: il protagonista combatte contro se stesso per raggiungere un obiettivo. Nel romanzo Il grande Gatsby di F. Scott Fitzgerald, Jay Gatsby lotta contro se stesso per riuscire a riconquistare Daisy Buchanan.
- Un altro Protagonista: un conflitto narrativo tra due personaggi principali, in cui entrambi cercano di raggiungere un obiettivo diverso. Nel romanzo Il giardino segreto di Frances Hodgson Burnett, il protagonista Mary Lennox lotta con Colin Craven per riuscire a scoprire i segreti del giardino.
- La Società: il protagonista deve scontrarsi contro le convenzioni sociali o le leggi per raggiungere un obiettivo. Nel romanzo Il processo di Franz Kafka, il protagonista lotta contro il sistema giudiziario per scagionarsi da un’accusa di omicidio.
- Le Istituzioni: come una religione, un governo o un’organizzazione. In 1984 di George Orwell, il protagonista Winston Smith lotta contro il Regime Totalitario.
- Dio: come nel romanzo Frankenstein di Mary Shelley, il protagonista Victor Frankenstein lotta contro Dio cercando di creare una creatura vivente.
- La Fantasia: un conflitto narrativo in cui il protagonista deve lottare contro elementi di fantasia per raggiungere un obiettivo. Ad esempio, nel romanzo Il viaggio di Natty Gann di Jean Craighead George, il protagonista Natty Gann deve affrontare i mostri e le creature mitiche del suo mondo per trovare suo padre.
- La Natura. Nel romanzo Un cantico per Leibowitz di Walter M. Miller, Jr., il protagonista Padre Leibowitz deve battersi con la natura per salvare l’umanità dall’estinzione.
- Il Tempo: un conflitto narrativo in cui il protagonista deve lottare contro il tempo per raggiungere un obiettivo. In Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen, Elizabeth Bennet lotta contro il tempo per riuscire a conquistare l’amore del signor Darcy prima che sia troppo tardi.
Sono solo alcuni esempi che servono per chiarire cosa sia un conflitto narrativo e quanto sia importante nell’economia di qualsiasi storia. Le categorie sono solo un aiuto, nulla toglie alla possibilità di dare vita a conflitti differenti a quelli appena visti, anzi, uscire dagli schemi è senza dubbio un atto coraggioso, che darebbe vita a un conflitto con il mondo editoriale troppo statico e vecchio.
No conflitto, no party
In qualsiasi romanzo, storia o sceneggiatura che si rispetti ci deve essere un conflitto narrativo chiaro che ne sia la forza vitale. La trama, poi, dovrà averne molti altri per rendere la lettura coinvolgente aumentando la suspense e il famoso page turning.
Una storia serena, senza drammi o scontri è solo una lunga accozzaglia di eventi che non portano a nessuna evoluzione (o involuzione) dei personaggi.
Se hai scritto un romanzo, prova a domandarti:
Qual è il conflitto narrativo?
Se riesci a dare una risposta rapida e precisa, allora sei sulla buona strada. Ma in caso tu non ne sia così sicuro è certo che manca qualcosa che renderà – molto probabilmente – il tuo testo NON pronto per le agenzie letterarie o le case editrici serie.
Per qualsiasi domanda, chiarimento o informazione, su tutoring o editing, puoi scriverci a:
info@pennarigata.it