Gli errori più comuni nei dialoghi sono anche, spesso, i più gravi che possono precludere la strada della pubblicazione di un buon testo. I dialoghi in un romanzo sono la parte più difficile da scrivere, specialmente per chi è alle prime armi e non conosce alcuni elementi essenziali per renderli efficaci.
Secondo molti teorizzatori andrebbero scritti con uno scopo preciso, quasi fossero una banale funzione per dare determinate informazioni al lettore. Se scrivi un dialogo così, produci solo un infodump mascherato da chiacchierata tra i personaggi.
Tipico è lo spiegone in cui il personaggio A spiega al personaggio B qualcosa. Se la spiegazione è logica e naturale per lo svolgimento della storia, allora il dialogo – scritto nel modo giusto che vedremo poi – ha senso.
Al contrario, se viene inserito solo per fare un riassunto per il lettore, risulterà “stonato” e finto. Una sorta di lezioncina dovuta anche alla pigrizia dell’autore che riassumerà in un botta-e-risposta concetti, deduzioni e informazioni che invece dovrebbero arrivare al lettore grazie a una buona struttura del testo.
Errori più comuni nei dialoghi: i botta-e-risposta
Il botta-e-risposta è forse lo sbaglio più comune, il dialogo diviene uno scambio infinito di domande e risposte che neanche un interrogatorio di un B-movie poliziesco anni ’70.
Quando le persone parlano – nella realtà -, non fanno molte domande. La maggior parte di ciò che dicono sono affermazioni. Ma non solo, i famosi botta-e-risposta non si verificano mai.
Tendiamo, quando parliamo, a esporre il nostro pensiero nel modo più chiaro possibile prendendoci tutto il tempo per esprimere le nostre ragioni.
“Come stai?”
“Bene grazie e tu?”
“Cosa fai oggi?”
“Esco con il mio ragazzo. E tu?”
“Vado a giocare a calcetto.”
“Con chi vai?”
“Con Antonio, lo conosci?”
“No. Chi è?”
“Un compagno dell’università.”
“Stai facendo gli esami?”
“Sì, studio molto. Hai trovato lavoro?”
In un testo che ho editato c’era il dialogo appena visto. Proposto in questo modo diventa chiaro quanto sia scritto male, eppure tanti aspiranti scrittori costruiscono così i dialoghi. Due amici che si incontrano dopo tanto tempo, non si fanno degli interrogatori, anche perché le persone tendono a parlare di loro stesse! Siamo tutti un po’ (alcuni molto) egocentrici e nei romanzi non si può essere da meno.
I bambini fanno oh!
Il mio errore preferito nei dialoghi è l’utilizzo delle espressioni onomatopeiche (figura retorica), quasi ci si trovasse di fronte a un fumetto. I vari Ah, Eh, Oh rendono (quando se ne abusa) un romanzo ridicolo e poco credibile.
Puoi utilizzarne qualcuno per mettere in evidenza, ad esempio, un momento di stupore ma se si è in dubbio è preferibile evitarli. In molti romanzi che ci arrivano per valutazione o editing, si abusa di questo strumento.
Per cui, nel dubbio, non li usare.
Troppi personaggi & dialog tag
Riuscire a scrivere il dialogo tra 3 o più soggetti è molto difficile. Siamo abituati ai film e alle Serie Tv in cui la telecamera si sposta e basta quello, oltre alla voce del personaggio, per indicare chi è che parla.
Lo so, sembra ovvio.
- Così, quando si tenta di mettere su carta una storia in cui abbiamo pensato di mettere dialoghi tra molti personaggi insieme, ci si butta nell’impresa senza pensarci troppo.
- Oppure, durante una scena in cui sono presenti vari protagonisti, si fanno parlare tutti.
In entrambi i casi il risultato è, quasi sempre, una scena confusa e strapiena di dialog tag (disse, sussurrò, fino ai più fantasiosi asserì, enunciò, rese manifesto). Per semplicità, è sempre meglio fare dialoghi in cui pochi soggetti parlino, evitando i botta-e-risposta.
Conviene far parlare due personaggi e far intervenire gli altri solo se strettamente necessario.
Errori più comuni nei dialoghi: la mancanza di pause
Altro errore grave è la mancanza di pause quando c’è un dialogo, anche serrato. I soggetti parlano a macchinetta e l’autore si focalizza solo sulle “parole” e non sulle azioni.
Invece si dovrebbe dare respiro al dialogo con delle pause in cui si mostrano piccole azioni.
Es. Durante una litigata tra la protagonista e il bad boy è utile far agire uno dei due per mostrare il suo stato d’animo attraverso le cose che fa. Non servono immagini didascaliche, può bastare che lui si alza, va a prendere una birra dal frigorifero e la apre con l’accendino per poi scolarla in un sorso. una scena semplice che racconta chi è “lui”.
Le pause aiutano il lettore a metabolizzare quanto si sono detti fino a quel momento, ma servono anche ad aumentare la suspense.
Il linguaggio del corpo
Ogni aspirante scrittore dovrebbe conoscere le basi del linguaggio del corpo. Emettiamo talmente tanti segnali da perderne la maggior parte però, a livello inconscio, arrivano. Le donne inviano di media circa 7 volte i messaggi corporei degli uomini.
Per questa ragione sono più brave nell’individuarli e decodificarli: è il cosiddetto sesto senso femminile. Può essere sufficiente, in una scena, mostrarne anche solo uno, ma ben descritto, per instillare nella mente del lettore un’idea o un dubbio.
Ti consiglio di leggere i testi di Paul Ekman sul linguaggio del corpo e le microespressioni facciali.
Tutti i personaggi parlano allo stesso modo
Tra gli errori più comuni nei dialoghi, uno dei più gravi è l’utilizzo sempre dello stesso registro per ogni personaggio. Tutti parlano nel medesimo modo, con le stesse pause, modi di dire, flessioni, tempi e con le stesse parole, che siano persone di grande cultura o un villico tedesco nel basso medioevo.
Per rendere i personaggi diversi tra di loro è utile crearsi delle schede in cui inserire la loro vita, drammi, desideri, difetti, pregi e tutto quanto sia utile per dare forma e renderli reali. Un ragazzo che da bambino veniva picchiato e bullizzato potrebbe parlare con frasi brevi utilizzando termini “neutri”, senza quindi essere assertivo.
Se invece il protagonista è arrogante e sboccato, userai più parolacce, modi di dire aggressivi e netti.
Ma non solo, spesso leggo manoscritti in cui i dialoghi mostrano una profonda incoerenza tra il personaggio e il suo modo di parlare. Tornando ai romanzi storici capita, anche in testi pubblicati, di leggere dialoghi anacronistici e l’uso di termini moderni.
In un libro di fantascienza (pubblicato da una grande CE) ho trovato: “stare fermo come uno stoccafisso” che, oltre ad essere un modo di dire desueto e poco elegante era fuori luogo e incoerente rispetto al contesto. Lo stoccafisso è un pesce e la storia si svolgeva su un mondo desertico, l’autore si sarà confuso con i sabbipodi di Guerre Stellari!