Antagonista nel romanzo, come renderlo credibile

L’antagonista nel romanzo che stai scrivendo (o hai scritto) non ti convince, c’è qualcosa in lui che proprio non ti soddisfa?

È una sensazione comune a moltissimi autori, almeno a quelli che hanno un po’ di sano spirito critico e non si credono dei grandi scrittori pur non avendo mai pubblicato nulla! 

L’antagonista non è un banale cattivo, il nemico per antonomasia che ce l’ha a morte con il protagonista. Si tratta di qualcuno di molto più complesso che si pone come antitesi di un personaggio, mettendone in evidenza le caratteristiche principali e, soprattutto, generando un conflitto.

Gli antagonisti si trovano in tutti i generi, potrebbe essere la ragazza bellissima in un romance che tenta di sedurre il coprotagonista maschile. Lei è avvenente, popolare e stronza mentre la protagonista potrebbe esserne antitetica.

Ma tale differenza non va banalizzata, del tipo “bella contro brutta”, popolare contro impopolare e via dicendo. I personaggi di un romanzo dovrebbero invece essere multidimensionali e mai lineari.

L’antagonista ha le caratteristiche appena viste, ma non solo, dovrebbe avere anche lati positivi, motivazioni e cause dei suoi comportamenti.

Banalizzando potrebbe comportarsi da “stronza” perché ha una vita familiare difficile (tipico comportamento dei bulli), oppure è solo il suo modo di proteggersi e non mostrare le fragilità.

A cosa serve l’antagonista nel romanzo?

A nostro avviso l’antagonista è importante quanto (a volte anche di più) il protagonista, perché senza di esso non cattivo nel romanzoavrebbe motivo di esistere. Basti pensare a Joker, senza di lui Batman è solo un sociopatico vestito da animale che passa le notti per vicoli e bettole!

Joker è uno specchio deformante che mostra a Batman non solo il suo nemico, ma anche il proprio lato oscuro che l’eroe mascherato combatte ogni giorno. Joker è ciò che Batman sarebbe potuto diventare se…

Se il caso, oppure la fortuna o altro non fossero intervenuti salvandolo e spingendolo verso un altro tipo di vita.

Come scrivere un cattivo

Se metti un antagonista tanto per avere un cattivo nella storia, rischi di creare una macchietta, una banale funzione senz’anima. Invece dovrai sforzarti di più per dare vita a qualcosa di più complesso che abbia un presente, ma anche passato (in questo il flashback può esserti d’aiuto) e un futuro (puoi usare per alcune scene il flashforward).

Per prima cosa, come per tutti i personaggi di un romanzo, ti consiglio di creare una sorta di “scheda” in cui inserire:

  • caratteristiche fisiche (altezza, colore occhi, capelli, tratti particolari…),
  • che tipo di carattere ha,
  • i suoi hobby e passioni (anche la musica che ascolta o i romanzi che legge),
  • più in generale cosa gli piace,
  • il suo passato e che risvolti hanno avuto le esperienze avute sulla persona che è oggi,
  • cosa fa nella vita, come e dove vive,
  • come parla,
  • i suoi problemi mentali,
  • le sue aspettative (quindi come si vede nel futuro e cosa vorrebbe realizzare),
  • motivazioni e obiettivi che, in questo caso, devono essere in contrasto con quelli del protagonista per creare l’elemento essenziale per caratterizzare un buon antagonista: il conflitto.

Più questa lista sarà esaustiva, e maggiore sarà la possibilità di creare un cattivo realistico e coerente con sé stesso. 

La psicologia dell’antagonista nel romanzo

La parte più intrigante, almeno per noi di PennaRigata, quando scriviamo o facciamo l’editing di un romanzo, è quella della ricerca. Studiamo la psicologia dell’antagonista e ci confrontiamo con l’autore.

Spesso il cattivo ha dei problemi di tipo psicologico, è quindi utile dare un nome alla sua condizione:

Così da poter studiare come si comporta e le caratteristiche peculiari di chi soffre di una di queste malattie mentali. Quando stai costruendo l’antagonista nel romanzo, leggere di persone reali che hanno le stesse patologie può offrirti molti spunti interessanti.

Sapere, per esempio, quali frasi dice un narcisista patologico (che non è un banale narcisista), è utile per la costruzione di dialoghi realistici e per evitare gli errori più comuni. In più, potresti andare nei forum di chi ha subito violenze da queste persone per capire cosa facevano e dicevano.

In certi casi potresti trovare, per esempio, accadimenti o anche frasi da riportare direttamente sul tuo manoscritto. 

I dialoghi dell’antagonista

Una volta costruita la sua psicologia dell’antagonista, comprensiva della sua “scheda”, adesso è il momento più difficile per la maggior parte degli autori: i dialoghi.

Nel 99% dei testi che ci arrivano, i dialoghi sono un vero problema. Quasi mai l’autore se ne rende conto, crede invece che funzioni alla perfezione.

Capita che ci sia uno scolamento tra il personaggio fin qui delineato e il suo modo di parlare. Una persona parla in un modo specifico per tutte le ragioni che abbiamo visto fin qui (esperienze, cultura, malattie mentali, bisogni…), ecco che la ricerca aiuta per farsi un’idea coerente.

Il linguaggio del corpo

Conoscere il linguaggio paraverbale è essenziale per creare un antagonista di qualità. A livello cinematografico è più “chiaro”, basti pensare ai Joker di Jack Nicholson o di Heath Ledger, così diversi ma entrambi con un linguaggio del corpo studiato e coerente con la psicologia del personaggio.

In un romanzo si deve mostrare come l’antagonista interagisce con lo spazio circostante e con gli altri personaggi. Basta un gesto calibrato e ben descritto per suscitare nel lettore un’emozione o un’idea.

Mordersi il labbra inferiore indica qualcosa di seduttivo, serrare la mascella tensione, alzare gli occhi al cielo sconforto o rassegnazione. L’antagonista, come del resto tutti i personaggi, deve avere un suo linguaggio del corpo che deve essere, però, coerente con la sua natura.

L’antagonista nel romanzo e il conflitto con l’eroe

Un cattivo ha senso se genera un conflitto, inserirlo solo perché “serve” come nemico non serve a nulla. La sua funzione è creare uno scontro:

  • fisico,
  • morale,
  • psicologico,
  • emotivo,
  • culturale,
  • di valori,

L’antagonista è un uomo razzista, negli Stati Uniti del sud negli anni ’60 che vessa le persone di colore. Ha una sua ideologia coerente e logica, seppure sbagliata! Il protagonista si scontrerà con lui per difendere i diritti civili degli afroamericani (conflitto morale).

Allo stesso tempo lui potrebbe amare una ragazza di colore che lavora proprio per il cattivo (conflitto emotivo). E nel finale potrebbe esserci uno scontro tra i due in cui, in una rissa, l’antagonista muore (scontro fisico), facendo finire il protagonista in galera.

In questo modo l’antagonista è uno specchio che distorce la realtà, un uomo chiuso mentalmente che si contrappone all’apertura mentale dell’altro che, alla fine, compie un omicidio dimostrandosi non tanto diverso dalla sua controparte.

Un meccanismo di questo tipo, senza dare giudizi di valore come troppo spesso capita nei romanzi dei neofiti, dice al lettore molto, gli trasmette tante emozioni obbligandolo a delle riflessioni.

Conclusioni

I cattivi migliori sono quelli tridimensionali, e per farlo è utile capire che non gli estremi, gli assoluti, non sono quasi mai la scelta giusta per caratterizzarli.

Un tempo si mostravano cattivi vestiti di nero e buoni di bianco, erano due caratterizzazioni facili in cui le storie erano forse un po’ troppo semplici. Di rado una persona è tutta cattiva o tutta buona, ci sono nelle persone tante sfumature di grigi che meritano di essere esplorate e narrate.

Ciò che rende un antagonista malvagio interessa al lettore. Se lo fai cattivo tanto per farlo, sarà solo un personaggio abbozzato, invece capire la genesi del male, addentrarsi nelle sue ragioni, motivazioni e aspettative, intriga e aiuta a creare un cattivo immortale.

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