La teoria dell’iceberg di Hemingway, o anche metafora di Freud, è un’idea molto semplice “in teoria appunto” ma di una infinita complessità nella pratica.
L’iceberg (di Hemingway) impatta e affonda il Titanic dei corsi di scrittura, scuole, buffonate, schede di valutazione e tutte quelle schifezze costose che fanno girare l’affondabile transatlantico del mercato editoriale.
Ogni soggetto del nostro settore, o almeno quasi tutti, che sia:
- un’agenzia letteraria,
- che fa valutazioni,
- anche una casa editrice
fa letteralmente il tifo per delle regole e dei dogmi che stanno mandando a puttane ogni sforzo letterario e, come indicano i recenti dati, diminuendo le vendite di libri in generale.
Se rendi la scrittura complicata, allora hai più strumenti inutili da poter vendere. I corsi di scrittura sono così pregni di informazioni e teorie strampalate che spingono gli ignari autori a comprarli con la vana promessa di diventare importanti scrittori.
Cos’è la Teoria dell’iceberg di Hemingway
La Teoria iceberg di Hemingway è semplice:
1/8 sta fuori dall’acqua 7/8 dell’iceberg sotto.
Si può provare a renderla complessa per far sentire le persone un po’ idiote, così da continuare a vendergli qualche corso/servizio/scheda di valutazione o altri astrusi strumenti pseudoletterari. La realtà è molto più semplice.
Conosci gli 8/8 di una storia. La scrivi inserendo ogni elemento e poi togli il superfluo. Quindi elimini:
- tutti gli infodump.
- Le descrizioni inutili (Es: se un tizio entra in una farmacia, a che ti serve descriverla? Solo se ha delle specifiche che servono alla storia altrimenti stare lì a fare il finto poeta presuntuoso infilandoci descrizioni a pioggia serve solo all’ego e a chi ti vuole vendere un servizio per imparare a scrivere).
- Avverbi. Hemingway li odiava con tutto sé stesso. Se servono è bene inserirli, ma se si trova un termine che da solo riesce a dare al verbo un significato più intenso allora, l’avverbio, è una sega mentale la cui utilità è farti credere che stai scrivendo bene.
- Dialoghi didascali. Es: «Ti ricordi, amico mio da vent’anni, quando frequentavamo la facoltà di medicina…»
- Aggettivi a pioggia.
- Scene che servono solo per spiegare.
- Dire, anziché mostrare, ciò che non rientra nei punti precedenti.
L’iceberg secondo Freud
L’iceberg è un oggetto che colpisce – in termini psicologici – ognuno di noi per i connotati inconsci che esso rappresenta. Secondo Freud la mente umana é suddivisa in:
- parte conscia 1/8 e
- l’inconscio 7/8
Quest’ultima è il vero motore della nostra mente, anche se ci è difficile accettarlo e a cui solo pochi hanno accesso. Lì si trovano forze e debolezze della nostra mente così potenti da modificare pensieri e azioni spesso senza rendercene conto.
L’inconscio è a usa volta ripartito in:
- Es (impulsi istintuali/primitivi),
- Io (che media tra le richieste dell’Es e le realtà del mondo esterno) e
- Super-io (norme morali e valori di un individuo).
Un gran bel casino! Nell’inconscio troviamo anche – in linea di massima – il nostro linguaggio del corpo, comprensivo di espressioni facciali, che si dovrebbe conoscere quando si scrive un romanzo.
Queste permettono di utilizzare appieno la tecnica dello Show don’t tell, ossia il mostrare delle situazioni anziché dirle. (Es: “era felice” è un tipico esempio di tell in cui si indica in modo didascalico uno stato d’animo/emozione).
Un autore decente, ancor più uno scrittore, conosce l’animo umano e le sfumature che possono suggerire al lettore elementi analitici (in termini di analisi psicologica), più fini, come un modo di dire o delle azioni così profonde da suggerire, a loro volta, una specifica caratteristica del personaggio.
Teoria dell’iceberg di Hemingway: sembra complessa, in realtà lo è!
All’inizio potrebbe sembrare un casino, il consiglio è di studiare il linguaggio del corpo, ci sono molti testi validi come quelli di Paul Ekman, oltre a manuali che aiutano a comprendere i complessi percorsi mentali delle persone (Es. Il codice dell’anima).
Hemingway quando scriveva non pianificava.
Da una parte si elabora lasciando andare le dita sulla tastiera, dall’altro è necessario conoscere perfettamente non tanto la storia, ma la psicologia dei personaggi comprensiva di ogni loro caratteristica, anche le più insignificanti.
Una volta scritto il testo si inizia a lavorare per sottrazione, lasciando solo ciò che il soggetto può vedere e vivere. Il resto non serve e deve essere cancellato per far sì che arrivi l’esperienza diretta e non filtrata dall’autore stesso.
Lavorando per sottrazione il romanzo diventa sempre più “sottile”, emotivo e privo della voce – e quindi dei giudizi – dati dall’autore. I “purtroppo” o “per fortuna” scompaiono come le sensazioni spiegate, per esempio. Seguire la tecnica dell’iceberg è semplice e allo stesso momento di una complessità incredibile e finché non si vedono sulla pagina le correzioni, non si capisce davvero cosa si intende.
So di essere di parte, ma per esperienza diretta ho visto che l’unico strumento efficace per provare a impararla è l’editing del romanzo. I corsi possono dare un’infarinatura, un’idea, le schede di valutazione invece non servono a niente.
Inconscio e inconscio, ma anche inconscio
Perché la teoria iceberg di Hemingway è così importante?
Prima abbiamo parlato dell’importanza dell’inconscio, di quei 7/8 che rimangono sommersi e che guidano con forza le nostre vite. Quando si scrive un romanzo si dovrebbe fare in modo che resti a galla 1/8 e che sotto il filo dell’acqua rimangano i 7/8, che quindi non faranno parte del testo ma saranno una base di non detto il cui scopo è di:
- tenere a galla il romanzo,
- comunicare al nostro inconscio e quindi in modo che lettore e scrittore si confrontino senza che la parte consocia del lettore se ne renda conto,
- portare il non detto a emergere ma non sulla pagina, ma nella mente del lettore.
Teoria dell’iceberg di Hemingway e Il vecchio e il mare
Il vecchio e il mare è senza dubbio il romanzo più noto di Hemingway, un testo di appena duecento pagine (o giù di lì) che dà al lettore solo l’essenziale e sembrerebbe raccontare l’aneddoto di un vecchio che pesca un pesce.
E sai che storia, detta così sembra una gigantesca rottura di palle. Poi si inizia a leggere e non ci si ferma più e la ragione è proprio il famoso non-detto. L’autore ha dichiarato che il romanzo avrebbe potuto essere tranquillamente un mattone di 1.000 pagine.
Ha deciso di togliere, estirpare, mozzare a volte in modo chirurgico altre volte con la stessa violenza di un macellaio, ogni elemento superfluo, ogni giudizio o valutazione personale lasciando a galla una misera barchetta che riesce per questo a non schiantarsi contro il famoso iceberg.
La maggior parte delle persone che scrivono per la prima volta un romanzo, non si “accontentano” di una scialuppa di salvataggio o di una bagnarola da pesca, ma pretendono un transatlantico stile Titanic.
Tutti conoscono la fine della nave inaffondabile.