Il Cliffhanger nei romanzi è una tecnica narrativa importante perché è in grado di mantenere l’attenzione del lettore stimolata e curiosa nella lettura dell’opera. Questa tecnica consiste nell’interrompere la narrazione in un momento cruciale, lasciando il lettore con una sensazione di incertezza e desiderio di sapere cosa accadrà dopo.
Lo si usa principalmente alla fine di un capitolo, per far sì che il lettore si senta spinto a continuare, ma può anche essere utilizzato durante la narrazione, per aggiungere suspense e tensione all’opera.
Può essere usato in molti modi diversi, ma l’obiettivo principale è di tenere il lettore interessato e coinvolto nella storia, ma anche per:
- creare un senso di suspense e di mistero,
- imprimere un senso di urgenza nella storia,
- spingere il protagonista a fare del suo meglio o in generale a mettersi in gioco,
- può essere usato per creare un senso di anticipazione e di attesa.
Il Cliffhanger è una tecnica narrativa importante perché consente agli scrittori di mantenere l’interesse del lettore durante la lettura dell’opera, creando una tensione emotiva che lo spinga a voler continuare per scoprire il finale.
Cosa significa?
Cliffhanger significa letteralmente “restare appesi” e viene utilizzato come espediente narrativo in molti ambiti come nella letteratura, nel cinema e soprattutto in serie Tv e fumetti.
Il “finale sospeso” nel quale la narrazione della storia si blocca letteralmente creando una forte suspense. Spesso è un’interruzione violenta – dopo un colpo di scena – che accresce il desiderio di sapere come andrà a finire.
Tipico è l’utilizzo del Cliffhanger a fine puntata (se si parla di serie o anche fumetti) o di un romanzo che avrà dei sequel (es. le classiche saghe fantasy).
La Marvel in ambito cinematografico ha usato (e forse abusato) di tale tecnica, aumentando vertiginosamente l’interesse e la curiosità degli spettatori.
Hanno strutturato più film uniti da un filo sottile che si stringeva sempre più fino a giungere al classico “scontro finale” all’apice del climax.
Il Cliffhanger nei romanzi
Come visto si può utilizzare questa tecnica narrativa alla fine di un volume, così da invogliare il lettore ad acquistare il seguente. Ma non basta lasciarlo “appeso” e basta, è necessario muoversi a livello emozionale per colpirlo nel momento opportuno.
Si può utilizzare anche durante il romanzo stesso, tra un capitolo (o paragrafo) e l’altro, per tenere il lettore attaccato alla pagina. Non si dovrebbe abusare, a mio avviso, di espedienti di questo tipo e neanche focalizzarcisi meccanicamente.
Si rischia di creare delle montagne russe emotive che durano tutto il romanzo e, a meno di geni letterari, una esperienza del genere provocherà la nausea nel lettore.
Servono anche momenti di calma, di riposo in cui il lettore può metabolizzare quanto accaduto a livello logico ed emotivo.
Nella vita è raro, se non impossibile, che ci siano solo accadimenti di nota, come anche in un’avventura fantasy. Spazi nei quali i personaggi mangiano, parlano tra di loro e si conoscono.
Nel romanzo di Luca Farru Quattro – Il risveglio – ci sono il giusto numero di Cliffhanger (quello finale su tutti) intervallati da momenti in cui i quattro protagonisti (e co-protagonisti) si conoscono.
Per creare legami servono le azioni, che qualificano chi sono veramente, e i dialoghi che non possono essere inseriti in situazioni d’azione.
Come inserire i Cliffhanger nella tua storia
In ogni romanzo ci dovrebbe essere qualche Cliffhanger (magari piccolo), per spingere il lettore ad andare avanti. Non solo nei testi in cui c’è azione, perché un Cliffhanger può valorizzare anche un testo di narrativa in cui il protagonista scopre qualcosa sulla madre.
Cosa scopre?
Ecco, questo è un minuscolo cliffhanger. Nei romance accade spesso dopo il primo bacio, incontro, litigio o simili. E un po’ ce lo aspettiamo!
I due si baciano dopo mezzo romanzo in cui si inseguono, litigano e flirtano ma lui le dice che…
Eccone un altro. Se ne inseriscono tanti, alcuni senza neanche rendersene conto ma è essenziale studiare dove tramortire il lettore lasciandolo appeso non a due metri da terra, ma a duemila!
In generale i Cliffhanger piccoli non sono essenziali. Meglio inserirne pochi e molto forti al momento giusto. Per capire quando farlo basta osservare il romanzo “dall’alto” e segnare i passaggi dove ci sono dei colpi di scena, e lì lasciare il lettore appeso.
Si passa a un nuovo capitolo, o paragrafo, focalizzandosi su un altro personaggio – magari il cattivo – così che il lettore si costretto ad andare avanti per sapere.
Il concetto di aspettative
Un buon romanziere è obbligato a creare aspettative, se un lettore non ha voglia di sapere cosa accadrà, è un lettore perso. Generare curiosità, spingerlo a continuare senza mai fermarsi è il Santo Graal della scrittura e in pochi lo sanno fare davvero bene.
Perché Il Codice da Vinci ha avuto un tale successo? Credo che il vero punto di forza di quel testo siano le infinite aspettative che Dan Brown genera nel lettore innescando un page turning devastante.
Tu lettore vuoi sapere la verità!
Conclusioni
Il “lasciare appesi” è uno strumento utile, essenziale per determinati generi anche se si deve imparare a usarlo e a non abusarne.
Il cliffhanger è una tecnica narrativa utilizzata in romanzi, serie televisive e film che consiste nel porre un finale aperto o sospeso, lasciando il lettore o lo spettatore in attesa di una risoluzione o di una continuazione della trama. In pratica, il cliffhanger crea una situazione di tensione e incertezza, spingendo il pubblico a continuare a seguire la storia per scoprire cosa accadrà. Questa tecnica è molto utilizzata nei generi thriller, fantasy e fantascienza.
Consiglio, se nel tuo testo c’è un prologo, di ragionare se inserirci un Cliffhanger. Il fine è duplice:
- generare curiosità nel lettore,
- e nell’editor o negli agenti editoriali.
Li incuriosirai a tal punto da proseguire nella lettura e, nel secondo caso, potrebbe aprirti le porte per pubblicare il tuo romanzo.
Quando la mia mente era ancora onnivora m’imbattei in due libri che adottai come padri adottivi: “Gorky park” di Martin Cruz Smith (BUR) e “Flight of the intruder” di Stephen Coonts (Sperling & Kupfer).
Erano libri lontano anni luce tra loro ma un punto in comune c’era: la storia personale del protagonista. il primo, Arkady Renko, un commissario della polizia metropolitana di Mosca alla deriva, il secondo il tenente pilota Jake Grafton (l’autore) della US Navy, durante la guerra in Vietnam, al bivio tra una vita costantemente in pericolo e voglia di tornare a essere solo un uomo. Due figure al limite, due modi di appassionare il lettore, due romanzi costruiti con tale enfasi e cura al punto da spingere il lettore a sostituirsi al personaggio e porsi le stesse domande.
Ho sempre voluto, nel mio infinitamente piccolo, tentato di agire sulle stesse chiavi, a mio avviso veri e propri lacci, che fanno della lettura un raro momento di condivisione e non è una missione impossibile.
Un personaggio vero, che vive attraverso la mente dei lettori e interagisce con la trama, è l’arma vincente di ogni romanzo.
Come riuscirci? Non è facile, ma credo di avere scoperto un metodo efficace: essere camaleontico, adattare cioè sé stessi a nuovi equilibri, una nuova vita.
E stare ad ascoltare, stando pronti con la penna.
Prima d’iniziare a poggiare le dita sulla tastiera, come per ogni piano di guerra, bisogna stabilire alcuni punti fermi e i miei li discussi con un mio amico e collega psicologo, il quale mi diede in dono l’immagine del “mixer”.
“Come sara’ il tuo personaggio? Riflessivo? Ingenuo? Cosa ricorda dell’infanzia? Ognuno ha un’impostazione diversa di quei potenziometri che determinano le reazioni.”
Il discorso continuava sull’irrazionalità e mille altri effetti e interazioni ma il succo è questo.
Con questo sistema non è difficile ritrovarsi sul ponte di un veliero, in un’auto della polizia di Houston o a cavallo di un cammello creando in tal modo un ponte di congiunzione tra il lettore e il personaggio.
Dopo questa empatia arriva tutto il resto perché è più tecnico e calibrato, pensato per ottenere un effetto.
Raccogliere informazioni, innaffiare l’idea al punto da trovare i cardini del romanzo e lasciarsi andare.
Nulla di nuovo, nulla di impossibile, nulla di reale, ma vero più del vero.
È l’arte del prestigiatore.