Tutti commettiamo errori di ortografia, che sia in email di lavoro, messaggi sul cellulare o – purtroppo – in racconti e romanzi.
Se i primi casi, seppur gravi, spesso passano inosservati, quelli messi in testi di narrativa sono un campanello d’allarme per case editrici e agenzie letterarie.
Molti potrebbero obiettare che un buon testo, con “h” in più o in meno, resta pur sempre valido: siamo sicuri che sia davvero così?
Quando ci arrivano dei manoscritti la prima cosa che facciamo è leggere l’email di presentazione. Non è solo una mezza paginetta messa lì, ma una fonte interessante per farci un’idea dell’autore che ci apprestiamo a leggere. E c’è sempre una corrispondenza tra gli errori di ortografia commessi in poche righe e la qualità del romanzo inviato.
Per non parlare della sinossi che, ancora di più, mostra le eventuali lacune. Il nostro mestiere è di editare romanzi, quindi gli errori sono all’ordine del giorno ed è nostro compito – oltre all’editing – correggerli, ma a tutto c’è un limite!
Etimologia della parola ortografia
Ortografia deriva dal greco e significa: scrittura corretta. Semplice.
Ogni persona che è andata scuola (quindi quasi tutti), dovrebbe conoscere le basi dello scrivere per evitare di commettere errori gravi, banali e sintomo di forti lacune.
Eppure conoscono avvocati, medici e tanti altri professionisti che non riescono a scrivere una email senza metterci un errore grave d’ortografia. Perché?
Potrebbe dipendere dal modo in cui si insegna a scuola la lingua italiana, un metodo forse troppo “vecchio” che predilige la memoria e il nozionismo alla comprensione.
Sta di fatto che la maggior parte degli italiani sono mediamente ignoranti in materia di lingua nostrana. Altra causa potrebbe essere il fatto che si legge poco, quasi nulla. A parte alcuni lettori forti la maggior parte legge meno di un libro l’anno.
È ovvio che in questo modo si perda l’abitudine e le nozioni imparate, lentamente verranno dimenticate. A mio avviso c’è anche un terzo elemento: la pigrizia.
Ormai se si ha un dubbio basta andare online, aprire un motore di ricerca e digitare ciò che si vuole sapere. Credo che in pochi lo facciamo, specialmente per quanto riguarda l’ortografia! A supporto di chi vuole migliorare la conoscenza dell’italiano arrivano anche i programmi di scrittura (es. Word), che indicano errori o eventuali incongruenze.
Gli errori di ortografia più comuni (e banali)
Una menzione d’onore lo ha senza dubbio il classico:
Qual’è.
Per molti è ovvio che sia un errore, si scrive senza l’apostrofo:
Qual è.
Conosco editori e agenti letterari che cestinerebbero in automatico un testo con una cosa del genere!
Altro errore ortografico molto comune, specialmente nei testi stampati è:
pò.
Quando si intende “poco”, la forma corretta è quindi:
po’.
Sì o si?
Quando si vuole usare l’avverbio, quindi indicare il proprio consenso ad esempio per una domanda, si utilizza il:
Sì.
Accentato.
Invece il si (non accentato) è una particella pronominale, e anche una delle sette note musicali.
Esempio:
Hai fame?
Sì, grazie!
Credo sia l’errore di ortografia che più compare nei testi che ci vengono inviati.
Errori di ortografia: essere o non essere?
Altro errore molto comune è l’utilizzo dell’apostrofo per indicare la terza persona singolare in mascolo.
Questo, tra gli errori d’ortografia, è forse il più comprensibile. Infatti il tasto “È” non si trova sulla tastiera QWERTY e l’unico modo per inserirlo è andare a selezionarlo tra i caratteri speciali del programma di scrittura. Così molti si accontentano di un errato E’.
Per Word: seleziona “Inserisci”⇒ “Simbolo”⇒ “Altri simboli” e infine cerca quello che ti interessa (ce ne sono decine).
L’articolo indeterminativo singolare
Uno degli articoli più letti del blog di PennaRigata riguarda proprio quando mettere l’apostrofo per gli articoli indeterminativi (scusate il gioco di parole).
In ogni caso molti si confondono e mettono apostrofi a pioggia – che non sono rosa – o, al contrario, si rifiutano categoricamente di inserirne anche uno soltanto!
L’accento e l’apostrofo!
Attenzione all’accento nelle congiunzioni e avverbi:
- perché,
- dopodiché,
- affinché,
- finché,
- sicché,
- poiché,
- …
Nella scrittura corretta tutti hanno l’accento acuto sulla “e” finale (é) non grave (è).
Anche quando si utilizza “né” come negazione l’accento è acuto, se invece lo si usa come pronome o avverbio di luogo non si usa l’accento.
Per quanto riguarda l’espressione non ce n’è, è la forma corretta. Al contrario, scrivere non c’è né è errato.
Invece, i verbi alla seconda persona singolare dell’imperativo, vogliono l’apostrofo, non l’accento:
- va’ ,
- fa’,
- sta’,
- …
L’apostrofo è il segno che rimane dopo la caduta della “i” (vai, fai, stai…).
Sé stesso o se stesso? Quando il “sé” è pronome personale riflesso deve essere messo. Quando invece il “se” è una congiunzione no.