Il fatal flaw è un elemento essenziale all’interno di una storia: sono i difetti che qualificano i personaggi più dei loro pregi rendendoli interessanti. Ma soprattutto, attraverso di essi, si crea un legame empatico con i lettori.
Quando ci capita un evento, grande o piccolo che sia, abbiamo 2 possibili strade da percorrere:
- accettare il cambiamento, farne parte e abbracciarlo,
- fuggirlo e rimanere ancorati a schemi mentali ed emotivi obsoleti.
Fatal flaw: è ciò che inchioda il protagonista (o antagonista) al passato e non gli permette di andare avanti. È una ferita profonda che il personaggio potrà guarire solo affrontando i suoi demoni ed evolvendosi, pena l’annientamento.
Fatal flaw come punto di contatto
Se il conflitto è lo strumento principale per dare vita a una trama, il fatal flaw è essenziale per rendere il protagonista più umano e, soprattutto, per permettere di empatizzare con lui. Quante volte, leggendo un romanzo o vedendo un film, hai immaginato di essere al posto di un personaggio valutando le sue scelte, giudicandole positive o negative?
Nel momento in cui lo fai, significa che la storia – in modo più o meno intenso – ti ha coinvolto.
Per esempio, in un romanzo di narrativa, dei ragazzini stanno facendo pressioni al giovane protagonista affinché getti dell’acqua a un vagabondo che dorme raggomitolato tra le sue carabattole.
È inverno e fa molto freddo. Gli altri lo prendono in giro dicendogli che è un codardo. Cosa farà? Resterà bloccato ai suoi “valori” fatti di machismo e bullismo, oppure si ribellerà e difenderà il barbone?
Ipotesi 1: getta l’acqua sul pover’uomo che, viste le basse temperature si ammalerà gravemente di polmonite. A quel punto, nascerà nel ragazzo un ennesimo conflitto morale, verrà colto dai sensi di colpa e tenterà di fare ammenda, oppure si volterà dall’altra parte per essere logorato lentamente dai rimorsi?
Ipotesi 2: difende il vagabondo scontrandosi con gli altri. Il protagonista, da far parte della banda di bulli, si tramuterà in loro vittima rimpiangendo per tanto tempo la scelta fatta.
Nella Ipotesi 1 il suo fatal flaw (chiamiamolo difetto/ferita fatale) ha il sopravvento creando una linea narrativa forse più interessante.
Una ferita che ha una genesi
Il fatal flaw è un trauma che non permette al personaggio di evolversi e crescere. Sono regole, idee e convinzioni che non riesce a superare.
Se si vuole creare un personaggio profondo e interessante, anche il motivo di questa “ferita” dovrà essere pensato e costruito con coerenza. Appicciargliela addosso, tanto per renderlo più interessante, conduce a una narrazione spesso confusa.
Al contrario, il fatal flow dovrebbe avere una genesi precisa. Nell’esempio precedente, il ragazzo è vissuto in un quartiere malfamato dove “non ci si deve mostrare deboli, mai“. Questo è il mantra di suo padre, magari morto o in carcere proprio per questo atteggiamento da “duro”.
Il protagonista ne sarà soggiogato, tanto da commettere dei crimini spingendo il lettore a porsi delle domande, a chiedersi se, al suo posto, si comporterebbe allo stesso modo.
Fatal flaw: il dito nella piaga
Per un fatal flaw realistico ed emotivamente coinvolgente serve conoscere la psicologia dei personaggi, riflettendo, studiando e facendo molta ricerca.
Per una persona abituata a una vita comoda diventa difficile immedesimarsi in un cacciatore che, pur di sopravvivere, è disposto a tutto. Per esempio, avresti il coraggio di uccidere e mangiare il tuo cane?
Quasi nessuno – che ha un cane o un gatto – potrebbe anche solo ipotizzarlo. Ma dovremmo trovarci nella situazione specifica, affamati da giorni di digiuno per dare un vera risposta.
Uno scrittore non deve dare la risposta giusta, ma quella coerente con la personalità e soprattutto con il fatal flaw del personaggio! Se il protagonista è stato cresciuto con l’unico scopo della “sopravvivenza a tutti i costi”, mangerà il proprio animale senza remore.
L’arco di trasformazione del personaggio
Il fatal flaw può essere identificato come una lotta interiore che serve al protagonista/antagonista per mantenere un sistema di sopravvivenza e di valori obsoleto. All’inizio del racconto è bloccato in una sfera di cristallo che sta già mostrando le prime crepe. Il suo mondo è un’illusione in cui si crogiola per paura di affrontare le novità, il cambiamento e tutto ciò che ancora non comprende appieno.
Sono le esperienze, vissute durante il romanzo, che lo portano a mettere in dubbio ogni cosa. Ciò che deciderà dipende dal tipo di scelta narrativa che si vuole intraprendere.
Arturo Bandini è il protagonista dei romanzi di John Fante. Arturo vuole diventare uno scrittore famoso, ma è così convinto di essere un genio incompreso (il suo fatal flaw) da non mettere mai in dubbio ciò che scrive e fa.
In “Chiedi alla polvere”, si trasferisce a Los Angeles certo che presto diverrà ricco e famoso. Gli insuccessi lo portano a dubitare di sé, la fame lo spinge anche a rubare del lattuccio avendo come complice un vecchio che, prima della sua discesa nell’abisso, disprezzava.
Ora Arturo comprende quanto sia difficile vivere, che si deve combattere per sopravvivere e che giudicare qualcuno solo perché è povero, come lui adesso, sia superficiale.
Elimina il giudizio morale
Il testo di Fante ci mostra un perdente, ci racconta la pochezza di Arturo senza però dare giudizi. In molti dei romanzi che editiamo c’è, al contrario, una tendenza a giudicare antagonisti e protagonisti.
In questo modo non si fa altro che occupare uno spazio che appartiene al lettore. È lui che dovrebbe farsi un parere sui personaggi valutandoli non sulla scala di valori dell’autore, ma sulla propria.
Togliere il proprio giudizio morale permette alla storia di mostrarsi nella sua forma più pura. Primo Levi ne è maestro, come Fante. Saranno le azioni e le scelte fatte a qualificare il protagonista e non la morale posticcia buttata lì per far vedere che si è persone profonde.
L’ego dello scrittore è il suo fatal flaw.
Molto interessante. E… grande ! Il rifermento a Fante è un gioiello. Poi quando leggo quel nome a me viene subito voglia di riaprire ogni suo libro.
Come anche nella musica, la differenza tra un buon ” artefatto ” e un accozzaglia di note e parole grondanti inutilità sta in quello che dicevi, si potrebbe forse riassumere con: avere qualcosa da dire.
Se ce l’hai davvero io sarò felice di ascoltarti/leggerti. Anzi mi sarà impossibile non farlo. E sarà straziante se vorrai tenermene all’oscuro e privarmi di una nuova avventurosa occasione di scoperta e di evoluzione personale Anche se si tratta delle preferenze sessuali del tuo cane ( sto pensando a “Ad ovest di Roma ” sempre di Fante.. dio santo quante risate..).
Gradevolissima lettura 🙂
Hai ragione, si deve avere qualcosa da dire, altrimenti meglio restare a casa a guardare la Tv o spiare i vicini,