Voce dell’autore, cos’è davvero e come “risvegliarla”

Spesso le case editrici (o le agenzie letterarie) inviano risposte negative dicendo che la voce dell’autore non è chiara, forte e distinguibile. Cosa significa veramente questo tipo di feedback e cosa lascia sott’intendere?

Il più delle volte – e mi dispiace dirlo – non è altro che un modo furbo e indolore per rifiutare un manoscritto. Usano il termine “voce” proprio perché anche gli esperti di settore non ne sanno dare, il più delle volte, una definizione precisa.

Diciamo che è una “supercazzola”.

Ma allora cos’è davvero questa dannatissima voce dell’autore di cui tutti parlano e che sembra il motivo principale per cui molti testi non sono pubblicati dai grandi editori?

In effetti, le case editrici, cercano davvero persone che abbiano una voce forte, un marchio di fabbrica che li identifichi con assoluta precisione. Vogliono qualcuno che esprima non solo un concetto, ma che dietro abbia altro, molto di più della semplice passione per scrivere.

Cosa non è la voce dell’autore

Siamo di fronte a un concetto difficile da spiegare, ma ci arriveremo per gradi. Alcuni pensano che sia lo stile narrativo, o più semplicemente il modo con cui si scrive un testo.

Non solo dal punto di vista della forma, ma anche delle regole grammaticali e della impaginazione. Si cerca di essere notati per delle eccentricità che tali restano se non hanno uno scopo.

Prendiamo ad esempio “La strada” di Cormac McCarty. L’autore non usa caporali, virgolette o trattini per indicare dei dialoghi. Ma questa scelta non è casuale o solo per distinguersi. McCarty riesce a dare ai due protagonisti (padre e figlio), delle voci così precise e distinguibili per cui non servono segni per identificare i dialoghi, e neanche i cosiddetti dialog tag (vedi l’articolo sui 5 errori di scrittura).

La sua non è una scelta per farsi notare, ma dietro c’è una motivazione differente poiché la sua scrittura è così sublime in quel romanzo, che non serve altro. Il mondo in cui si muovono i personaggi è “desolato e spoglio” e di conseguenza lo è anche  il modo e la forma con cui viene scritto.

Quindi la voce dell’autore non dipende dall’impaginazione o dalle regole che utilizzi. Modificare la grammatica, la punteggiatura o altro non è la tua voce, quanto un ‘espediente per farti notare. Se invece, come per McCarty, il non seguire determinate regole ha uno scopo, un fine logico e coerente con il testo stesso, allora è giusto farlo. 

In molti testi che edito (o valuto), gli autori provano a essere originali inserendo nell’impaginazione disegni, foto, mappe o altri elementi grafici per fare qualcosa di nuovo, che nuovo non è, scadendo nel grottesco e rendendo il loro lavoro meno interessante di quanto in realtà sia.

Ci vengono in aiuto gli studi scolastici!

Quando si studiava al liceo la letteratura italiana, soprattutto degli ultimi due secoli, si parlava spesso della “poetica”. Per esempio di Ungaretti, D’Annunzio o Verga.

Stiamo parlando di autori che non solo avevano una competenza letteraria eccelsa, ma soprattutto avevano qualcosa da dire. La loro voce non era scelta ex ante, ma era una conseguenza del contenuto e dei temi che volevano trattare.

Quando si studiano gli autori del passato, non ci si butta a capofitto sulle loro opere, prima invece se ne studia la vita, cos’hanno fatto, le loro gesta e battaglie morali che hanno combattuto. 

La forma segue la sostanza e viceversa in un continuo scambio.

Se manca una, l’altra perderà forza e il testo diventerà qualcosa di banale senza carattere, quello dell’autore. Stile e contenuto mettono in evidenza la voce dell’autore che diviene forte e distinguibile.

Come creare la voce dell’autore

La voce dell’autore dipende, quindi, dall’autore stesso (banale, vero?). Ma in realtà non è proprio così semplice. Prendiamo Donato Carrisi che, a oggi, è senza dubbio tra i più quotati autori di thriller. Ciò che rende la sua voce distinguibile è il suo background culturale e professionale.

Infatti ha studiato Giurisprudenza e poi Criminologia e Scienza del comportamento,  ha investito molti anni per imparare! La sua passione è diventata il suo marchio di fabbrica tanto che nei suoi romanzi a farla da padrone è la psicologia contorta e oscura dei criminali (spesso anche dei buoni).

Quando si scrive non solo si mettono di seguito delle lettere, ma si esprime chi siamo. Scrivere di medicina, quando non si sa nulla a riguardo, per quanto si facciano ricerche su internet, darà sempre un risultato poco credibile. Mancherà qualcosa, quella sfumatura che solo un medico – o un appassionato – conoscono.

I dettagli, che solo vivendo determinate esperienze si possono conoscere, valorizzano un romanzo e aiutano la tua voce a venire fuori.

Non è necessario conoscere tutto, o essere un esperto di ogni cosa, ma se non hai passioni, interessi e temi da dire e da difendere, allora non avrai mai una tua voce. Come puoi pretendere di scrivere un romanzo di fantascienza in cui il mondo è stato devastato dal riscaldamento globale se non sai nulla dell’argomento?

A tutti interessa dell’ambiente, almeno un minimo, ma se sei nella massa il tuo testo sarà banale.

Attenzione a non diventare moralizzatori che danno sempre un giudizio. In questo era maestro Primo Levi che ha narrato gli orrori dei campi di concentramento senza mai dare giudizi. Deve bastare la narrazione, il mostrare ciò che accade con intensità e partecipazione per permettere al lettore di provare le emozioni, ma anche di farsi una sua idea.

Scrivere è trasmettere esperienze

Molti pensano che si debba fare il compitino, inserire nel testo quintali di nozioni solo per fare vedere al lettore che si è bravi o che ci si è documentati prima.

Non c’è nulla di male, ma se ci si dimentica della parte emotiva, facendo i maestrini, non si trasmette nulla. La forza narrativa di Hemingway, ad esempio, traeva la sua potenza dalla vita avventurosa che aveva avuto. Era stato corrispondente di guerra e per mandare articoli usava il telefono, non internet!

Dettava gli articoli e aveva poco tempo per farlo, così doveva rendere il testo asciutto e diretto. La sua voce autoriale è nata per un bisogno. Se vuoi scrivere, anche romanzi leggeri è, a mio avviso, essenziale avere esperienza di vita e passione per quello che si racconta.

Non dico che tu debba andare in guerra per descrivere una battaglia. Però più tu sarai “dentro” la guerra  e più la tua voce si sentirà forte. Quasi nessuno di noi ha idea di come ci si senta quando ti sparano addosso e l’unica cosa che puoi fare per sopravvivere è uccidere. 

Uno scrittore riesce, almeno in parte, a immedesimarsi – dopo aver studiato – e mostra la battaglia senza troppi moralismi che sarebbero delle ovvietà. Il lettore non vuole che tu gli dica ciò che già sa, vuole che gli mostri un’esperienza che lui non avrebbe mai aiutandolo a sentirla. Se ci riuscirai, la tua voce sarà distinguibile.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Verificato da MonsterInsights