Credo che salvare l’editoria sia ancora possibile a patto che ci si fermi un attimo e si epuri il sistema dagli incompetenti, raccomandati e figli di partito che lo affollano.
Le mie non sono risposte assolutamente esatte, dogmi che se applicati ridesteranno un comparto commerciale nell’arco di qualche mese. Perché prima di ogni cosa sono necessari programmazione e tempo, il primo non può prescindere dal secondo.
Mettiamo da parte i problemi macroeconomici come, per esempio, l’inflazione e il basso tasso di incremento degli stipendi italiani – il minore nell’area UE – e concentriamoci invece sul modo di fare business degli editori nostrani.
Coccobellococcooooo…
Il modello di business del venditore di cocco in spiaggia è lo stesso da mezzo secolo: non usa social, tecniche di marketing particolari né nuovi slogan o canzoncine accattivanti, perché?
Perché non ne ha alcun bisogno, si trova in mercato protetto, che il più delle volte indica qualche stortura microeconomica come un monopolio stratificatosi negli anni. Semplificando: paga una marchetta all’affittuario (e anche qui ce ne sarebbero di cose da dire…) dello stabilimento allo stesso modo dei parcheggiatori abusivi.
Cosa c’entra il cocco con i libri? Entrambi seguono modelli di business e comunicazione immutati negli ultimi 50 anni.
Alcuni ediotiodi hanno scoperto TikTok solo perché ha fatto vendere centinaia di miglia di copie a Erin Doom, un libro uscito anni prima ma che l’editore non era stato in grado di pubblicizzare a dovere. Il passaparola online lo ha invece portato a essere il libro più venduto del 2023.
Per capirci meglio, se si osservano i profili Instagram delle case editrici, l’unico strumento che mettono in campo è di “strillare” che è uscito un nuovo romanzo mettendo una foto della copertina. Alcuni, solo ora, stanno provando a modificare un minimo la loro strategia di comunicazione con qualche banale intervista.
Innovare per salvare l’editoria
La maggior parte dei social media manager delle case editrici mostrano dei limiti – a volte non hanno fondi o libertà sufficiente – che li porta a scopiazzare e a rimanere in una confort zone di mercato che non porta a nessun incremento di mercato.
L’unica cosa che accade da qualche anno è l’acquisizione di una parte del mercato già esistente da parte delle piccole o delle grandi realtà editoriali. Sgomitano per avere, per esempio di una torta che vale 100, una percentuale che varia di poco ogni anno.
Il vero problema è che se il mercato rimane sempre di “100” e diminuisce il potere d’acquisto delle persone e in più si presentano nuovi competitor nell’ambito dell’intrattenimento (Es: Netflix, Amazon prime ecc…), ecco che il margine (guadagno) diminuisce,
Cosa fanno i capitani d’impresa nell’editoria? Tagliano i “costi” e quindi licenziano (o fanno in modo che si licenzino) editor, traduttori e correttori di bozze perché visti come costi e non come investimenti. A riprova, mi arrivano molti cv di professionisti con un background lavorativo importante.
Ed ecco che l’editoria si depaupera ogni giorno di professionisti seri a favore di stagisti scappati di casa (non me ne vogliano), che non hanno abbastanza esperienze lavorative e personali per gestire intere collane di grandi/piccoli editori.
Cosa fanno per salvare l’editoria?
Si parano il culo e giocano di sponda evitando i rischi e seguendo le best practice lasciate in eredità che però funzionavano decenni prima. Il più delle volte vorrebbero innovare ma non rischiano, restano nella loro confort zone (oggi sono molto english) così possono giustificarsi con più facilità a fronte di insuccessi.
I manager di settore non hanno le competenze necessarie per gestire le CE come fossero, perché ormai lo sono, delle aziende che si devono confrontare con un mercato globale aggressivo.
Il management dovrebbe essere composto da un mix di esperti di settore (che quindi conoscono il mondo dei libri) e manager strutturati che hanno una visione moderna d’impresa e che spingono per una cosa tanto banale che persino un analfabeta funzionale può capire: l’incremento del mercato.
Significa portare la famosa torta (che vale 100), a 101 o più, mettendo in pratica strategie di comunicazione nuove e più aggressive.
I social media manager non possono essere editor junior che smanettano un po’ con i social, ma persone formate per farlo che hanno idea di cosa sia la SERP, Reddit, la SEO o la scelta degli hashtag o la nuova fonazione search di ChatGpt.
Cosa si potrebbe fare per salvare l’editoria?
Non posso dare una risposta certa che offra una crescita delle vendite e dei lettori salvando il settore, però posso individuare – come economista con un MBA – delle alternative a un modo di lavorare che sta portando il comparto a una morte lenta e inesorabile.
Possiamo dire che così non va proprio, ma quali sono le possibili strategie che “potrebbero” apportare dei benefici?
- La creazione di Gruppi d’impresa. Si tratta di editori che creano un nuovo soggetto giuridico ed economico che si contrappone agli altri player di mercato. In questo caso specifico con la distribuzione che da decenni intasca il 55-60% del prezzo di copertina (una percentuale irreale). Con questo strumento si ottiene maggiore forze contrattuale, si potrebbe anche pensare di dare vita a un nuovo sistema di distribuzione grazie alle economie di scala.
- Creare un fronte comune di comunicazione che contrasti i competitor del settore dell’intrattenimento. Anche in questo caso sarebbe più efficiente dare vita a un gruppo d’impresa o a qualche altro soggetto che abbia più forza commerciale.
- Tentare di prevenire il mercato mettendo in atto strategie di marketing innovative e modificare i propri standard di comunicazione che sono, nel 99% dei casi, obsoleti.
- Rischiare.
- Assumere veri manager e non editor sognatori che sono spesso scrittori mancati o figli di papà.
- Spingere sulla meritocrazia, nelle case editrici ci sono anche persone capaci relegate a fare lavori ripetitivi che di rado ottengono ciò che meritano.
- Scegliere romanzi belli (e innovativi) e non far pubblicare qualche blogger incapace o personaggio semi-famoso.
Il lavoro da fare è moltissimo, serve una ristrutturazione profonda che parte dalla cancellazione dei dogmi che controllano il sistema e dall’allontanamento dei soggetti incapaci o dandogli i ruoli più adatti alle loro competenze.
Il punto 7. (qualità)
Da editor posso dire con maggiore precisione quanto il punto 7. sia incredibilmente problematico e strategico. Perché si può fare la miglior comunicazione possibile ma se si offrono libri brutti (ma brutti davvero), nessuno strumento salverà il settore.
In Italia tutti scrivono, e male, credendo che basti seguire i corsi di scrittura o farsi fare una scheda di valutazione per trasformare una zozzeria in un best seller.
I peggiori sono quei fenomeni che, pur non leggendo nulla ( o quasi), sono convinti di avere tra le mani dei libri eccezionali che hanno bisogno solo di una spintarella…
A me arrivano tanti romanzi orribili, per scelta decido di editare solo pochi testi in cui credo, a volte mi capita di vedere romanzi ottimi faticare a trovare l’editore che meritano (di solito alla fine ci riescono).