Paolo Restuccia, regista del noto programma satirico di Radio2 Il ruggito del coniglio, lavora alla Rai dal 1987: dal 1991 al 1993 ha condotto 3131 e, come regista, autore e conduttore.
Ha preso parte a diversi programmi radiofonici, tra i quali:
- Dentro la sera,
- A che punto è la notte,
- Luna permettendo,
- Buono Domenico,
- Permesso di soggiorno,
- Coniglio Relax.
Come autore ha pubblicato tre romanzi:
- La strategia del Tango (Gaffi, 2014);
- Io sono Kurt (Fazi 2017) e
- Il colore del tuo sangue (Arkadia Editore).
Da anni si occupa dell’insegnamento della scrittura narrativa, prima nella scuola Omero e ora nella scuola Genius, e per quest’ultima attività lo intervistiamo per il nostro blog dove parliamo di editing.
Intervista di Adriano Angelini Sut.
Paolo Restuccia e la scuola di scrittura…
Adriano Angelini Sut. – Paolo, parlaci innanzitutto della tua scuola di scrittura. Come nasce e perché?
Paolo Restuccia – Quando abbiamo cominciato a occuparci dell’insegnamento della scrittura, oltre trenta anni fa, eravamo un gruppo di giovani intellettuali, se si può usare questo termine, diciamo un gruppo di giovani appassionati di scrittura e lettura che volevano imparare a narrare, semplicemente volevamo passare dall’altra parte del libro, trasformarci da lettori a scrittori, con una certa dose di ingenuità e di intraprendenza.
Di fronte a noi c’era un mondo che sembrava misterioso e irraggiungibile, quello della letteratura, ma anche del teatro e del cinema (la nostra rivista aveva come sottotitolo: “Per chi scrive narrativa, cinema e teatro”), e sulla scorta di quella che era la tradizione americana della creative writing e delle poche esperienze italiane precedenti, sostanzialmente quella di Raffaele Crovi e quella di Giuseppe Pontiggia, nacque l’idea di chiedere ai romanzieri di condividere le loro esperienze con chi voleva diventare scrittore.
Ancora le altre scuole italiane non c’erano e la reazione del mondo culturale fu durissima, sembrava davvero un’eresia. Adesso mi pare che non ci sia angolo dell’Italia culturale dove non sorgano laboratori o scuole di scrittura. Vuol dire che, quasi senza saperlo, avevamo raccolto una domanda presente nella nostra società.
…e l’editing
A.A.S. – Non entro nel merito della eterna querelle scrittori si nasce o si diventa, mi limito a chiedere: cosa ne pensi tu dell’editing e, soprattutto, nell’era che io chiamo della scrittura seriale (dove cioè tutti i romanzi che escono per le grandi case editrici – ma oggi anche per le medio piccole – sono più o meno scritti allo stesso modo), dicevo ha senso farlo?
P.R. – Se c’è una cosa che ho capito in tutti questi anni è che ci sono almeno due tipi di editing (ma probabilmente sono di più).
Per prima cosa c’è l’editing che cerca di trasformare un testo perché piaccia a un pubblico indistinto, tipico delle grandi case editrici nazionali e spesso anche delle altre. Questo tipo di intervento sul romanzo avviene quando l’opera ormai deve essere pubblicata perché l’autore ha firmato un contratto oppure è entrato in una certa “scuderia” editoriale. Da questo punto di vista non so che dire, mi rendo conto che qualcuno deve farlo e corrisponde alla realizzazione di una sorta di prodotto adatto a un mercato.
Mi sconcerta di più quando vedo che un autore si adatta da solo a certe formule perché pensa che funzionino e magari tradisce le sue capacità e il suo talento. O meglio fa valere il talento del mimo, del camaleonte, che si trasforma in ciò che vuole o che crede gli serva per arrivare al grande pubblico.
C’è poi un secondo tipo di editing, quello che aiuta l’autore a liberare il testo dalle pesantezze inutili, dalle rozzezze stilistiche, dai cliché letterari o dai luoghi comuni, allo scopo di far emergere quella che potremmo definire la voce più autentica dello scrittore. Questo è quello che cerco di fare io quando lavoro con un autore nella scuola di scrittura, talvolta spingendolo anche ad affrontare qualche fantasma nascosto, qualche pudore inaspettato, qualche resistenza, oltre a rendere il suo stile più accurato e preciso. E questo lo faccio qualunque sia il suo linguaggio, dalla voce dialettale a quella densa e colta, dal realismo o dal lirismo alla narrazione fantastica, e via così, senza cercare di forzarlo per trasformarlo in qualcuno di diverso da sé stesso. Se poi verrà pubblicato o meno, credo che non sia il mio compito determinarlo.
Parecchi capolavori sono stati pubblicati postumi, ma penso che sarebbe stato delittuoso chiedere a Morselli o a Tomasi di Lampedusa di adeguarsi all’editoria loro contemporanea, costringendoli con un editing feroce. A quel punto meglio il destino dell’incompreso di quello della scimmia ammaestrata.
Piegarsi all’editor oppure no?
A.A.S. – Ma perché se un autore è oggettivamente bravo (o magari si sente bravo) dovrebbe sottostare alle regole dell’editing e magari ai capricci di un editor che vede la narrativa a modo suo?
P.R. – Ai capricci non si deve mai sottostare, se si può resistere. Invece seguire i consigli di uno sguardo esterno competente è senza dubbio utile, anche se talvolta è doloroso.
Stephen King ha scritto una volta:
l’editor ha sempre ragione.
Se ne ricava il corollario che nessuno scrittore è tenuto ad accettarne per intero i consigli, e chi è senza peccato scagli la prima pietra. In altri termini, “scrivere è umano, editare è divino”. E se lo dice lui, chi siamo noi per metterlo in dubbio? Io aggiungo che spesso un bravo editor ti fa risparmiare tempo per arrivare proprio alla qualità che volevi.
L’autore che ha passato tantissimi giorni chino sul suo testo, quando lo rilegge spesso sul momento non è in grado di giudicarlo. Talvolta ci vogliono settimane o mesi, oppure addirittura anni, perché un autore possa comprendere dove ci sono le debolezze, i passaggi a vuoto, perfino le sgrammaticature nel proprio testo. Uno sguardo esterno onesto e bravo se ne accorge subito.
C’è un atteggiamento molto diffuso nel nostro paese ed è quello di non rivelare chi sono gli editor dei romanzi e dei racconti di successo. Si sa nell’ambiente editoriale, ma al grande pubblico viene ancora ammannita la favoletta del genio solitario che scrive nella propria solitudine e sforna capolavori immortali. Se davvero fosse questa la realtà, si pubblicherebbero solo uno o due libri ogni secolo.
Paolo Restuccia e la scuola di scrittura
A.A.S. – Voi come scuola di scrittura come operate? Quali sono stati i vostri maggiori successi piazzati, diciamo così, sul mercato editoriale.
Paolo Restuccia – Noi facciamo soprattutto formazione, un gruppo di partecipanti viene seguito personalmente dagli insegnanti scrittori della scuola, che leggono racconti e brani di romanzi classici o moderni, ne analizzano le caratteristiche tecniche (scrittura e intreccio), poi assegnano esercizi che vengono corretti uno per uno, per ogni partecipante.
Poi ci sono lezioni frontali sui temi della narratologia o dello stile. Questo è un primo percorso che dura generalmente sei mesi, poi chi ha elaborato un’idea per un romanzo viene seguito nella scrittura della sua opera.
Non piazziamo gli scrittori agli editori, suggeriamo loro il percorso migliore per arrivare a una pubblicazione ma non facciamo il lavoro di agenzia letteraria.
In ogni caso tra quelli che hanno lavorato con me – insieme agli altri miei colleghi – in questi anni, sono davvero molti gli scrittori arrivati alla pubblicazione. Li riconosci dal fatto che in genere ci ringraziano alla fine del libro e qualche volta mi capita di firmarne l’introduzione.
Faccio qualche nome degli ultimi tempi: a settembre uscirà per Giunti il romanzo di Margherita Marvasi, La donna drago, ed è da poco uscito, per Newton Compton, Mettiti in posa, di Manuela D’Aguanno. Poi c’è un’opera a cui tengo particolarmente, quella di Paola Persia, l’autobiografia di una ragazzina che diventa donna mentre la retinite la rende cieca, eppure riesce a vivere e a sposarsi, ci sono pagine che mi hanno steso, s’intitola Amare l’invisibile e uscirà a novembre per una piccola casa editrice molto interessante, Bertoni.
Paolo Restuccia e i suoi romanzi
A.A.S. – Parlaci dei tuoi romanzi. Ti lasci editare facilmente?
P.R. – No. Lavoro così tanto su quello che scrivo che non userei l’avverbio “facilmente” per quello che mi riguarda, quando mi si chiede di cambiare quello che ho scritto. Ma naturalmente sto a sentire con molta attenzione quello che l’editor mi dice e scopro che quasi sempre ha ragione.
Per il mio primo romanzo, La strategia del tango, per esempio, l’editor è stato Andrea Carraro, uno scrittore vero, bravo e competente che è uno dei punti di forza di scuola Genius. A parte qualche altra cosuccia più o meno grave, mi disse che non lo convinceva il finale. Aveva ragione, ero stato tradito dal desiderio di non fare troppo male ai miei protagonisti. Dopo qualche notte insonne mi ricordai che nella mia idea originale la vicenda finiva con una specie di strage. Me l’ero perfino dimenticato! Lo riscrissi di getto, feci accadere nella storia tutto quello che doveva accadere e non posso fare altro che ringraziare il mio editor.
Devo il titolo Io sono Kurt, invece, ad Alice Di Stefano della Fazi. L’avevo chiamato Uno più uno uguale zero, non male direi, ma non rendeva il carattere dark della storia, parlando con lei venne fuori questa frase, che si trovava in un momento decisivo della narrazione e ci sembrò subito perfetta.
In altre occasioni, la storia era già ben definita e lo stile adeguato. Il colore del tuo sangue, per esempio, era già più o meno pronto quando l’ho consegnato ad Arkadia, in quel caso è stato importante il conforto dei curatori della collana SideKar (Ivana e Mariela Peritore, Patrizio Zurru): il fatto che l’avessero letto e approvato voleva dire che il romanzo aveva già trovato almeno tre lettori competenti soddisfatti.
Consigli per gli esordienti
A.A.S. – Consigli, suggerimenti per autori esordienti in cerca di case editrici? O magari semplicemente desiderosi di imparare a scrivere un romanzo?
Paolo Restuccia – Il primo consiglio è sempre leggere. Leggere i classici e i contemporanei. Fare qualcosa tipo: leggi uno dell’Ottocento, poi uno del Novecento e poi uno appena pubblicato. Se non ti piace, chiudilo subito, avrai tempo più avanti per rileggerlo (ma anche mai).
Cerca di capire come funziona la lingua di uno scrittore (per questo è importante leggere i contemporanei italiani, non solo quelli stranieri). Cerca di comprendere:
- come si sviluppa la vicenda,
- le psicologie dei personaggi,
- la forza delle descrizioni,
- l’efficacia dei dialoghi.
Non cercare di adattarti a un modello vincente oggi nel mercato. Se stai progettando adesso il tuo romanzo, lo finirai almeno tra un paio d’anni, verrà letto in una casa editrice mesi dopo, pubblicato quando ci sarà spazio nel catalogo, magari dopo ancora tanto tempo. Quello che è il libro vincente di adesso, allora sarà dimenticato.
In troppi vogliono solo pubblicare
Una cosa che sta succedendo oggi più di qualche anno fa è che alcuni si avvicinano a una scuola di scrittura come la Scuola Genius convinti di essere già bravi e cercando solo dei contatti editoriali. Vogliono che venga riconosciuto il loro genio e che siano portati direttamente a una grande casa editrice.
Non funziona così.
Quello della scrittura di un romanzo è un percorso lungo e intimo, difficile e bellissimo. Se t’interessa solo pubblicare e poterti definire scrittore, meglio allora che ti fai un’ampia rete di relazioni, che frequenti le persone giuste, che cerchi una strada per la carriera come si fa in tutte le professioni. Ma per questo non serve una scuola, ci vuole un istinto innato.