C’è una distinzione netta, a mio avviso, tra scrittore e autore. Nelle filosofie/religioni orientali esiste il concetto di “intuizione”, ossia la capacità di comprendere le leggi universali non con la logica o lo studio, ma in un modo più profondo e personale (Il tao della fisica, Gli Adelphi).
Determinare se una persona sia un autore o uno scrittore non è così facile come molti vogliono far credere. Ho sentito frasi del tipo:
- è uno scrittore chi vive grazie alle vendite dei suoi libri,
- oppure chi scrive romanzi (pubblicati o meno),
- o chi ha determinate competenze (quali è tutto da definire)
- …
Credo, invece, che anche per questo complesso quesito il miglior strumento per discernere sia proprio “l’intuizione” indicata nel testo appena citato.
Lo scrittore pone domande o dà risposte?
Mi rendo conto che per alcuni potrebbe sembrare una definizione vaga, aggiungiamo un secondo ed essenziale elemento di distinzione: perché scrivere?
Ci arrivano ogni anno centinaia di romanzi per la valutazione gratuita (accettiamo solo le prime 20 cartelle editoriali + sinossi, tutto in Word all’indirizzo info@pennarigata.it), che mostrano vari tipi di errori abbastanza comuni tra gli esordienti che sono risolvibili attraverso un buon editing.
La maggior parte, purtroppo, ha la tendenza a voler insegnare la lezioncina di vita al lettore quasi pensassero di essere grandi saggi che parlano a pesci decerebrati in una boccia di vetro.
Iniziano i loro testi con pistolotti pseudo intellettuali che, oltre ad essere di una noia mortale, trasudano presunzione e una voglia di essere lodati per le loro profonde e uniche considerazioni sulla vita.
Come evitare questo obbrobrio letterario?
Prima di tutto rendendosi conto che un lettore non vuole che tu gli insegni la vita. A meno ché non hai scritto un manuale di auto-aiuto, e per farlo servono anche competenze di psicologia, sociologia e psichiatria.
In molti romanzi manca l’umiltà, il dubbio (dell’autore) e più di tutto le competenze che per scrivere sono importanti quanto saper dipingere lo è per un pittore che vuole vivere della sua arte.
Si ha la malsana e ingenua convinzione che basti leggere (spesso poco e sempre gli stessi generi) e aver preso sempre buoni voti nei temi a scuola, per poter scrivere un futuro best seller! Dai, ce la farai e venderai milioni di copie e ti porteranno in giro su una lettiga neanche fossi la Cleopatra di un porno anni ’70.
Nelle case editrici e nelle agenzie letterarie sono costretti a “fare muro” per evitare che gli autori-fenomeni esagerino e li tempestino di email in cui tentano di convincerli che hanno sbagliato a rifiutare il loro romanzo.
Ancora un po’ di pazienza…
Il problema è spesso più “tecnico” che personale, nel senso che non si conosce il modo giusto per elaborare un testo di genere e così ci si perde nelle proprie ideologie e convinzioni.
Mi capita spesso di trovarmi di fronte a romanzi che, apparentemente, trasudano ottusità in ogni parola. Poi, parlando con l’autore, mi rendo conto che non è una persona mentalmente chiusa, anzi. Ma il modo con cui esprime i suoi pensieri a farlo sembrare tale.
Un lettore, in linea di massima, vuole godersi una bella storia e trarne una lezione senza sentirsi costretto da pistolotti saccenti. Un conto è dire a qualcuno cosa è giusto e cosa è sbagliato, tutt’altro è fargli vivere un’avventura attraverso un personaggio che commette errori e impara da questi.
Show don’t tell, ecco perché è la chiave per scrivere bene (o almeno non malissimo)
Se non sai cosa sia ti consiglio di leggere l’articolo sullo Show don’t tell a questo link. Non è un dogma da utilizzare per forza sempre, però si deve conoscerlo se si vuole scrivere un romanzo, specialmente se di genere.
Mostra il personaggio “fare cose” che siano il risultato del suo carattere e delle sue esperienze passate. Permetti al lettore di conoscerlo attraverso due strumenti fondamentali:
- dialoghi e
- azioni.
Se invece ti impunti a voler raccontare la sua:
- intimità,
- il passato,
- i ragionamenti,
- e tutto ciò che riguarda la sua sfera emotiva e intellettuale,
rischi di annoiare e di cadere nella trappola della didascalia, della lezioncina a tutti i costi che non coinvolge il lettore ma lo fa sentire un deficiente a cui tu spieghi come si vive.
Byron diceva (mi pare fosse lui…) che l’autore scrive solo metà del romanzo, l’altra la scrive il lettore. Se si spiega ogni azione con lunghe riflessioni, si priva il lettore della possibilità di partecipare e immergersi nella narrazione, fino a perdersi.
Come diventare uno scrittore?
Non posso dare una risposta univoca e valida per tutti. Alcuni autori che ho editato ce l’hanno fatta, altri no. Sono necessari impegno e abnegazione, ma anche talento.
Lavorare sulla propria tecnica è necessario per valorizzare le proprie capacità e migliorare sempre di più, giorno dopo giorno. Anche se non si è particolarmente talentuosi, ma si ha voglia di imparare e mettersi in gioco, si può arrivare a scrivere romanzi piacevoli.
Nella narrativa di genere è diventato essenziale conoscere la tecnica e soprattutto lo Show don’t tell per applicarlo in modo che la storia fluisca naturalmente attraverso una serie di azioni e dialoghi.
Una storia scritta in questo modo, magari con qualche problema di punteggiatura o sintassi, potrebbe diventare un romanzo pubblicato. A mio avviso un testo molto “raccontato” (pochi dialoghi e poche azioni), non può essere neanche editato ma andrebbe riscritto.