Intervista a Giorgio Ballario
di Adriano Angelini Sut
Giorgio Ballario, ex giornalista de La Stampa, quotidiano su cui ha scritto per 23 anni, è un autore di noir che ha ottenuto un buon successo con la serie di romanzi dedicata all’Italia coloniale degli anni ’30, indagata dal maggiore dei Carabinieri reali Aldo Morosini, pubblicata dalle Edizioni del Capricorno.
È anche autore di un libro sui personaggi storici un po’ fuori dal coro del secolo scorso, come Brigitte Bardot, Piero Ciampi, Edith Piaf e Gianni Brera, pubblicato dalle Edizioni Eclettica e intitolato appunto “Fuori dal Coro”.
È però da un libro del 2016 che vorrei partire con questa intervista, “Vita spericolata di Albert Spaggiari” (Idrovolante Edizioni), che ho trovato davvero intrigante.
Un gangster, di quelli veri
AAS: Vuoi spiegare al lettore, soprattutto più giovane, chi era Albert Spaggiari?
GB: Albert Spaggiari, nato in Alta Provenza nel 1932 da una famiglia di origine italiana, è stato qualcosa di più di un famoso criminale francese.
Anche perché risulta che ladro lo sia stato solo una volta, cioè nell’estate del 1976 quando alla testa di una banda composita, formata da banditi marsigliesi e da avventurieri come lui.
Ha ideato e messo a segno il “colpo del secolo” ai danni di una banca di Nizza, svuotando i caveau di sicurezza dopo esser passato dalle fogne e dopo aver scavato una galleria sotto l’istituto, la Société Generale.
In realtà l’intera vita di Spaggiari è stata vissuta all’insegna dell’avventura e della trasgressione, come ho cercato di ricostruire nel mio libro, l’unica biografia di questo personaggio esistente in Italia.
Albert è stato volontario in Indocina, militante dell’OAS, l’organizzazione che si opponeva alla decolonizzazione dell’Algeria (e per questo è anche finito in carcere), poi fotografo a Nizza e, dopo il colpo del ’76, latitante fino alla morte (avvenuta in Italia nel 1989) e scrittore di buon livello (ha pubblicato tre romanzi, compresa la sua versione del colpo miliardario a Nizza). Un personaggio molto interessante anche dal punto di vista letterario.
Un mix tra Scorsese e Risi
AAS: La definizione migliore di lui, a mio avviso, l’ha data lo scrittore anni’80 (come lui disallineato) Marc-Eduard Nabe: “Un misto fra i gangster alla Scorsese e i personaggi fanfaroni dei film di Dino Risi”. Sta qui il suo fascino secondo te?
GB: Nabe l’ha conosciuto personalmente, quindi parla a ragion veduta. Io però non sono del tutto d’accordo sulla prima parte della sua definizione perché Spaggiari non è mai stato un gangster, cioè membro di una banda criminale organizzata.
È vero che per fare il colpo ha tirato dentro dei banditi del milieu marsigliese, ma lui non ne faceva parte, non era il suo mondo. Più che un gangster lo definirei un avventuriero vecchio stampo, con i suoi ideali e il suo codice d’onore. Sull’accostamento ai fanfaroni dei film di Dino Risi, invece, sono perfettamente d’accordo. Tant’è vero che sui muri del caveau lascia la scritta:
Senza armi, senza odio, senza violenza.
Giorgio Ballario sui terroristi anni ’70
AAS: Cosa pensi delle varie teorie secondo cui il colpo alla Societé Generale sarebbe stato fatto per finanziare i gruppi terroristi di estrema destra di quegli anni.
GB: Più che una teoria, si tratta di una confessione fatta dallo stesso Albert al giudice che lo interrogava dopo l’arresto. Disse che la sua parte del bottino era stata spesa per finanziare un’organizzazione che agevolava l’espatrio dei “camerati” italiani perseguitati dalla giustizia verso la Spagna e il Sudamerica.
Non so se sia vero. Lui di certo aveva certi contatti, di cui beneficerà in prima persona dopo la rocambolesca evasione dal Palazzo di Giustizia di Nizza; ma è impossibile capire se effettivamente esistesse quell’organizzazione (lui la chiama La Catena) e se il denaro del colpo sia servito per finanziarla.
C’è da dire che il bottino non è mai stato recuperato.
Giorgio Ballario: la nascita del maggiore Morosini
AAS: Veniamo ai gialli ‘coloniali’ con protagonista il maggiore Morosini. Come ti è venuta questa idea?
GB: Mi è venuta quasi vent’anni fa, quando mi ero messo in testa di scrivere un romanzo giallo e cercavo idee originali.
Siccome il periodo coloniale mi è sempre interessato, anche per racconti familiari sentiti quando ero bambino, ho cominciato a studiare il fenomeno su testi dell’epoca e mi sono reso conto che le colonie africane erano uno straordinario scenario per un intreccio poliziesco.
Oltretutto inedito, perché nessuno l’aveva mai usato. Così mi sono imbarcato in quest’avventura senza immaginare che sarebbe potuta diventare una serie di successo: il primo romanzo, “Morire è un attimo”, è uscito nel 2008 e adesso sono arrivato al settimo episodio.
AAS: Qual è il romanzo coloniale a cui sei più legato?
GB: Impossibile rispondere. È chiaro che l’uscita del primo libro in assoluto, “Morire è un attimo”, è stata una grande emozione; ma in definitiva in ognuno degli altri sei romanzi della serie, così come negli altri sei romanzi noir di taglio contemporaneo che ho scritto, ci sento qualcosa di mio.
L’equivoco di sangue
AAS: Ci parli del nuovo in uscita in questi giorni.
GB: Il 25 ottobre uscirà “L’equivoco del sangue”, appunto il settimo romanzo della serie del giallo coloniale con protagonista il maggiore Morosini, prima ufficiale dei Reali Carabinieri e poi della PAI, la polizia dell’Africa italiana.
Il titolo fa riferimento al sangue di due delitti che il maggiore deve risolvere, ma anche al sangue che scorre nelle vene dei figli delle coppie miste, nati da padre italiano e madre eritrea, che spesso non venivano riconosciuti.
Coppie “illegali” molto frequenti nelle colonie dell’AOI sia pure proibite dalla legge, che vietava la pratica del cosiddetto “madamato”, cioè del concubinaggio fra italiani e donne del luogo (il contrario non era neppure contemplato).
Anche se questa proibizione, che arrivò nel 1937 dopo molti decenni di colonia, venne applicata “all’italiana”. Vale a dire nei fatti non applicata.
La scuola di scrittura
ASS: Tu a Torino dirigi anche una scuola di scrittura, Distretto011, assieme a Massimo Tallone. Insegnare a scrivere un noir è più difficile rispetto ad altri generi?
GB: A dir la verità non lo so, perché non so come si insegni a scrivere altro genere di romanzi e io stesso non ha mai scritto altro che gialli e noir, a parte i due saggi che hai citato in apertura. Non so come si faccia a scrivere un romance, ad esempio; né un romanzo di formazione, un fantasy o uno intimista.
Il giallo e il noir hanno delle regole abbastanza precise. In molti casi coincidono con la narrativa tout-court, ma sono a mio parere più rigorosi, richiedono maggior precisione, coerenza logica, capacità di creare suspense e ambientazioni credibili.
E nel caso del noir spesso possono accendere un faro su aspetti torbidi politici e di costume di una città o una nazione che ne fanno un vero romanzo sociale contemporaneo.
Giorgio Ballario e l’editing
ASS: In chiusura, visto che siamo una agenzia di editing, vorremmo un tuo parere sull’importanza dell’editing all’interno del percorso editoriale di un libro.
GB: È banale dire che l’editing è molto importante, però è vero. L’autore, per quanto bravo, spesso non si rende conto di imprecisioni, ripetizioni, lungaggini e incoerenze del testo che solo un occhio esterno e professionale può cogliere.
Chi scrive è inevitabilmente portato a “innamorarsi” del proprio testo, sapendo quanta fatica gli è costato. Perciò ci vuole un buon editor che legga il romanzo, ne colga gli aspetti più deboli e suggerisca modifiche che lo perfezionano. Se l’editing è fatto da persone competenti è automatico che ne esca un testo migliore di prima.