Un editore che chiede contributi non è un vero editore. È una realtà che scarica sull’autore i costi della pubblicazione, trasformando l’entusiasmo per un libro in un contratto a senso unico. Si presenta con belle promesse, parla di editing accurati e promozioni mirate, ma alla prova dei fatti il vero obiettivo è far pagare la stampa.
È il tipico editore a pagamento, più vicino a una tipografia con velleità da marchio editoriale che a un partner serio disposto a investire sul testo.
Le strategie sono sempre le stesse: chiedere soldi per coprire spese che un editore autentico dovrebbe assumersi, accettare qualsiasi manoscritto perché il guadagno non arriva dalle vendite ma dal bonifico dell’autore, offrire servizi basilari a prezzi gonfiati. Il risultato è prevedibile: pile di copie ferme in magazzino e nessun lavoro reale sulla diffusione.
Perché un editore serio non chiede contributi
Il rischio d’impresa è la linea di confine tra un editore che fa selezione e un editore a pagamento. Chi lavora seriamente investe:
- tempo,
- competenze
- e denaro,
- pubblica solo i libri in cui crede
- e li promuove perché ne va della sua stessa sopravvivenza.
L’autore non deve finanziare la filiera poiché il suo compito è scrivere, non sovvenzionare.
Gli editori a pagamento, al contrario, guadagnano a prescindere dalle vendite. Non hanno interesse a verificare la qualità, non si preoccupano di creare un catalogo coerente, non rischiano nulla. A guadagnarci è solo la loro tipografia.
Come capire se si tratta di uno stampatore
Potrebbe sembrare complicato, ma in realtà è molto semplice. Si potrebbero fare mille considerazioni sul rischio d’impresa o parlare di contrattualistica, anali SWOT e altre belle cose da economista di serie B.
Ma non servono. L’unico parametro è se, nel contratto o in altri contesti, lo stampatore ti chiede soldi., Esatto:
chiede soldi.
A quel punto sai i essere di fronte alla famigerata EAP, che non è un dipartimento super segreto della CIA, ma solo un banale acronimo per definire gli stampatori (io li chiamo solo così, con il massimo rispetto per chi fisicamente stampa libri).
Attento, perché sono furbi. La ragione che danno al tuo contributo economico varia:
- acquisto copie,
- costi legali,
- spese di comunicazione,
- sovvenzione strategica programmatica,
- investimento in marketing e comunicazione,
- supporto all’editori per non meglio definite attività collaterali di sviluppo,
- obolo ecclesiastico,
- donazione spontanea obbligatoria,
- …
Lo ammetto, alcune le ho un po’ romanzate, ma in fondo fa parte della mia natura. Come chiedere soldi di quella degli stampatori.
Cosa fare se ti propongono un contratto a pagamento
La prima regola è non cedere alla fretta. L’idea di vedere il proprio libro stampato può essere allettante, ma firmare un contratto con un editore che chiede contributi significa buttare via tempo e denaro (e il proprio romanzo).
Meglio valutare alternative più sane:
- affidarti a un editor freelance di romanzi che possa migliorare il tuo testo ed evitare i moltissimi problemi che ci sono, ma che non vedi!
- l’auto-pubblicazione (self publishing) con pieno controllo dei diritti, ma sempre dopo essere passato sotto l’occhio di un editor…
- la ricerca di un editore tradizionale disposto a investire (non voglio fare il disfattista, ma non ne esistono più),
- oppure il supporto di una delle tante agenzie letterarie (molto costose e di rado utili).
Pubblicare è un passo importante, e farlo con chi lavora in modo trasparente vale più di qualsiasi promessa patinata. Meglio saperlo subito che ritrovarsi con scatoloni di copie invendute in salotto!